Raccontavano gli anziani che sotto il pavimento della chiesa di Santa Maria a Canna, sottratto ad un servo del maligno, fosse stato imprigionato, in tempi assai remoti, un libro magico il cui possesso avrebbe assicurato potere e ricchezza.
Cicco Tecce carezzava da tempo l'idea di impossessarsene. Era una testa calda, un violento che tutti evitavano volentieri, a cui la prospettiva di violare una tomba dava un senso di eccitazione, una piacevole vertigine, più della stessa lusinga delle facili ricchezze.
Aveva fatto partecipe del progetto un amico e, una notte, munitisi di piccone, mazza di ferro e lume ad olio, si introdussero nella chiesa e, non senza fatica, divelsero la pesante lastra di pietra che fungeva da coperchio alla cripta. Discesero piano la ripida scalinata consunta e si trovarono in una disadorna cappella sotterranea, intrisa dell'odore di morte. La fievole luce della lampada stentava a fugare la tenebra, ma un guizzo più vivido rivelò per un istante, in fondo alla cripta, la figura immobile, incartapecorita, di un vecchio seduto su di una poltrona con un libro aperto fra le mani.
Determinati, avanzarono in quella direzione, incuranti di un vento gelido, appena un sospiro, che si era levato ad alitar loro sul volto. Il palpito della luce muoveva le ombre e, a tratti, strappava all'oscurità l'immagine del vecchio.
Non avevano percorso che pochi passi che qualcosa di viscido attanagliò loro le gambe. Abbassarono la lampada al suolo e si avvidero che il pavimento brulicava di serpi. Se ne liberarono scalciando: ormai più nulla poteva essere d'ostacolo all'insana brama di cui erano pervasi.
Progredirono fino in fondo, incuranti del groviglio di rettili che loro si opponeva. Ora il vecchio appariva tutto intero, la chioma e la barba bianche, le orbite vuote, le mani rinsecchite. Cicco Tecce allungò una mano per carpirgli il libro, ma una lingua di fuoco si levò dal pavimento e si interpose fra lui ed il vecchio.
"Maronna mia!" invocò spaventato e, madido di sudore, terrorizzato, tremante, si destò nel proprio letto nello stesso istante in cui l'amico, con un urlo disumano, si svegliava nel letto di casa sua.