Aveva fatto tardi in paese. Si era trattenuta oltre il previsto presso la figlia maritata la settimana prima ed ora procedeva con passo affrettato verso la propria casa, in contrada San Quirico. Era buio pesto, ma questo non le creava alcun problema. Si poteva dire che conoscesse ogni buca della strada, ogni sasso, ogni cespuglio, tante erano le volte che l'aveva percorsa.
Aveva appena oltrepassato lo Iardino che un maialino venne fuori dall'erba alta che cresceva lungo il ciglio della strada e le grugnì fra le gambe. Lei lo respinse con una pedata e tirò dritta. Che incoscienti, pensò; lasciare una bestia incustodita! Poi, se mai, il proprietario ne avrebbe lamentato il furto e, chissà, ne avrebbe incolpato il vicino. Comunque lei aveva fretta, aveva fatto tardi e intorno non si sentiva alcuno che ne fosse alla ricerca, né c'erano case nelle immediate vicinanze.
Il maialino prese a seguirla, grugnendo, zampettando, annusandole le gambe. Magari l'avesse accompagnata fino a casa, si disse. Lo avrebbe rinchiuso per la notte e, una volta giorno, si sarebbe informata circa il proprietario. Neppure per un istante la sfiorò l'idea di tenerlo per sé. Era timorata di Dio, lei!
Il maialino le teneva il passo e grugniva. Rosina ne avvertiva l'alito caldo sui polpacci e, a tratti, il contatto umidiccio del muso.
Giunsero così alle Fornaci, là dove le strade si intersecano a formare una croce, e l'animale levò un grugnito stridulo, disperato e si dissolse nella notte.
Rosina ne fu raggelata e proseguì come un'automa, stramazzando in preda a un tremore convulso davanti all'uscio della propria abitazione dove il marito la soccorse.