Aveva poco più di dieci anni Felice, e quella notte fu destato presto in quanto doveva accompagnare la nonna in campagna a iermeta' (raccogliere i manipoli di spighe).
Nell'attraversare il paese la nonna lo aveva continuamente esortato a parlare, e ad alta voce, in quanto era quella l'ora in cui la gente, dalle finestre, vuotava gli orinali sulla via. Ma egli era talmente imbambolato di sonno che si e no aveva farfugliato due o tre parole in tutto, lasciando interamente a lei il compito di manifestare la loro presenza al fine di evitare il rischio di una doccia maleolente.
Si erano appena lasciati il paese alle spalle e la notte cominciava a stemperarsi in un fumoso chiarore antelucano, che Felice avvistò una vecchina vestita di bianco che li precedeva di poche decine di metri lungo il sentiero. La indicò alla nonna, invitandola ad affrettare il passo per fare in compagnia quell'ultimo tratto di strada, ma la donna, per quanto si sforzasse, non riuscì a scorgere nulla.
Felice dapprima insistette, paziente, ma poi, al canzonatorio scetticismo di lei, si intestardì ed allungò il passo, deciso a dimostrare la propria ragione.
Ben presto distanziò la nonna, ma la vecchina, sebbene apparisse immobile, sembrava irraggiungibile. Accelerò l'andatura. Dai cespugli irrorati di brina si levò la bruma e gliela nascose alla vista.
Allora Felice prese a correre, si immerse, fendendola, nella densa nube di freddi vapori, quando una folata di vento spazzò via la nebbia discoprendo un cane bianco dal pelo irto, dagli occhi insanguinati, che gli ringhiò contro minaccioso e subito disparve, allontanandosi attraverso i campi.