A differenza delle pratiche magiche, i rimedi naturali costituivano patrimonio comune e venivano adottati autonomamente, o dietro suggerimento di chi, avendone fatto ricorso, ne poteva testimoniare l'efficacia. Ciò non toglie che le guaritrici ne raccomandassero l'impiego a supporto del rito magico.
Stoppata (impacco a base di stoppa). Lussazioni, storte, gonfiori in genere venivano curati con impacchi di stoppa imbevuta di albume d'uovo di gallina.
Uoglio r'auliva (olio d'oliva). Virtù sia terapeutiche che magiche erano attribuite all'olio di oliva. In terapia trovava soprattutto impiego quale emolliente nella cura delle scottature. Mescolato ad acqua e battuto fino ad assumere un colore biancastro, trovava applicazione come antinfiammatorio nei casi di arrossamento dei sederini dei bambini.
Piricino re cerasa (peduncolo di ciliegia). Per guarire dalla tosse venivano ingeriti decotti ottenuti mediante l'ebollizione in acqua di peduncoli di ciliege.
Mele rape (miele d'api). Per le punture di insetti era consigliato il ricorso al miele che, applicato sulla parte, riduceva il gonfiore e leniva il dolore.
Latte re ficuciello (latice di fico acerbo). Il latice, di colore biancastro, applicato sui porri per lunghi periodi, svolgeva una seppur lenta azione corrosiva che agiva in profondità, eliminando sin dalla radice il fastidioso inconveniente.
Maruca spogliata (lumaca senza guscio). Altro rimedio contro i porri era costituito dalla bava secreta dalla lumaca nei suoi spostamenti. Pertanto si consigliava il ricorso a tale gasteropode, obbligandolo a strisciare ripetutamente sulle verruche.
Ereva re muro (muraiola, detta anche parietaria e vetriola). Un ulteriore rimedio contro i porri era costituito da applicazioni di muraiola, opportunamente macerata fra pietra e pietra.
Cepolle e ramegne (cipolle e gramigne). In presenza di deficienze renali si suggeriva di osservare una dieta a base di cipolle. Nei casi più gravi era opportuno il ricorso a decotti ottenuti mediante lunga ebollizione in acqua di piante di gramigna.
Scarcioffole e 'nzalata (carciofi e lattuga). Per la cura di affezioni epatiche era d'obbligo l'assunzione prolungata di decotti a base di carciofi. L'alternativa era costituita da decotti di lattuga. A tal fine le foglie venivano essiccate per poterne disporre anche nel periodo invernale.
Ruta. Perla cura delle affezioni gastrointestinali veniva prescritta l'assunzione di decotti ottenuti facendo bollire in acqua foglie di ruta.
Ereva re cerzolla (Camedrio, quercia nana). Anche in passato le inappetenze infantili furono motivo di cruccio per madri apprensive. Come stimolanti dell'appetito venivano preparate bevande di gusto particolarmente amaro, facendo bollire in acqua foglie di quercia nana.
Papagno (papavero). L'acqua re papagno, ossia decotto dalle proprietà soporifere ottenuto mediante l'ebollizione in acqua di fiori di papavero, era il rimedio suggerito contro l'insonnia.
Ereva re sbario (da sbaria', traducibile col termine "dissolvere"). Per curare le infezioni cutanee era d'obbligo il ricorso all'ereva re sbario. Questa, macerata con una pietra levigata fino ad ottenerne una poltiglia omogenea, veniva applicata sulla parte infetta. Erano sufficienti quattro o cinque ore per registrare i primi miglioramenti. Mediante l'ebollizione di tale erba si realizzavano pure decotti indicati nella cura delle coliti.
Ortica. Contro le infezioni cutanee del cuoio capelluto, causa della caduta di capelli, si ricorreva a ripetuti lavaggi con acqua in cui erano state lasciate a bollire foglie di ortica.
Frunne re ciento nierivi (piantaggine, arnoglossa). Lo caraugno (pustola infetta) veniva curato con frunne re ciento nierivi (letteralmente: foglie dai cento nervi). Una di queste foglie, disposta cruda sulla pustola e trattenutavi con una stretta fasciatura, dispiegava le sue proprietà corrosive fino ad intaccare la membrana epidermica, sì da consentire la totale fuoruscita del pus.
Mareva (malva). Perla cura degli ascessi gengivali si lasciavano cuocere in poca acqua foglie di malva (mareva cotta), applicandole quindi, ancor calde, a diretto contatto della parte infiammata. Tali impacchi favorivano la suppurazione dell'ascesso.
Sagnà (salassare). Il salasso non fu mai praticato dalle guaritrici. Esso costituiva il primo intervento in caso di improvviso malessere, con perdita di coscienza (scangia'), e veniva effettuato da uomini, detti `pratici', i quali eseguivano l'incisione, semplicemente, senza l'ausilio di un rituale magico.L'arte di incidere non aveva alcunché di arcano, ma era considerato un rimedio di emergenza che serviva ad allentare la pressione arteriosa, spesso imputabile alle abbondanti libagioni. La pratica cadde in disuso nel secolo scorso, sostituita dall'impiego di sanguette (sanguisughe) che, applicate sul corpo del paziente, riducevano la pressione sanguigna evitando il ricorso al salasso.
Acqua re lupini (acqua di lupini). Si attribuivano all'acqua, in cui fossero stati messi in ammollo i lupini essiccati allo scopo di renderli commestibili, proprietà concimanti tali da favorire un rapido sviluppo delle piante.Da ciò invalse l'uso di suggerire ad un bambino, non sufficientemente sviluppato per la sua età, di farse biniri' co' l'acqua re lupini (farsi benedire con acqua di lupini). Tuttavia sembra che la pratica non abbia mai goduto di credibilità e che, di conseguenza, non abbia mai trovato reale applicazione, restando l'espressione puramente canzonatoria.