Le Fiabe - La casa dei gatti

Sisina non aveva mai conosciuto sua madre, morta nel darla alla luce, né il conforto di una parola buona o il calore di una carezza, premure che la matrigna riservava ad Elvira, la sorellastra nata dalle seconde nozze di suo padre. A lei toccavano i lavori più umili e pesanti e le occhiate di riprovazione del padre che, al ritorno dal lavoro, ogni sera, la matrigna attendeva sull'uscio di casa, assumendo un'aria imbronciata e disfatta per sottolineare quanta pazienza e spirito di sopportazione occorressero con `quella ragazza infingarda e ribelle'

Così Sisina soffriva in silenzio e, talvolta, si rifugiava nei sogni in cui, sempre più spesso, si immaginava in groppa ad un grosso uccello bianco, trasportata in volo al disopra delle nuvole dove, avvolta nella luce del sole, la madre le spalancava le braccia felice. E intanto, in attesa di quel magico giorno, sgobbava dall'alba al tramonto, si nutriva dei pochi avanzi che, lasciati in tavola incustoditi, il gatto le contendeva, vestiva gli indumenti smessi da Elvira che le andavano stretti, le lasciavano scoperte le gambe lunghe e magre, le appiattivano il petto che, ormai a quindici anni, le si inturgidiva.

In quel rigido giorno d'inverno, nonostante il soffio gelido della tramontana le indolenzisse le membra, Sisina era felice di essere al lavatoio per il bucato, in quanto era questo uno dei rari momenti di libertà di cui potesse godere. L'astiosità della matrigna, le occhiate maligne di Elvira, gli imbronciati silenzi del padre apparivano come stemperati nella quiete della campagna deserta. Ma aveva freddo e le mani, e i polsi che le maniche troppo corte della camicia le lasciavano scoperti, apparivano di un colore paonazzo che si chiazzava di lividi.

Prese dal cesto il sapone male sgusciò fra le dita irrigidite. Con un tonfo finì in acqua e si inabissò. Sisina si sentì raggelare dentro, il silenzio intorno le si fece ostile. Fu pervasa da sgomento cui seguì una disperata agitazione. C'era un canneto vicino: ne strappò la canna più lunga e la immerse nell'acqua. La vasca era così profonda che non riuscì neppure a raggiungerne il fondo. Allora, disperata, ormai convinta dell'impossibilità di recuperare quell'unico pezzo di sapone, considerò sconsolata i panni sporchi che non avrebbe potuto lavare e prese a singhiozzare sommessamente.

"Perché piangi, Sisina?" la interrogò una voce premurosa e gentile. La ragazza trasalì, si volse. Una vecchina minuta, vestita di nero, ricurva su un nodoso bastone le sorrideva, enigmatica e bonaria. Imbarazzata, Sisina si asciugò frettolosamente gli occhi col dorso della mano, tirò su col naso e, con voce tremula, spiegò: "Mi è finito in acqua il sapone e se non riporto la biancheria lavata la mia matrigna mi punirà".

Di nuovo la vecchina sorrise, rassicurante. "Se è solo questo il tuo problema, non hai che da scendere nella vasca", le disse. La ragazza stava per replicare che la vasca era colma d'acqua gelida e che ne sarebbe morta, quando si avvide che si era completamente svuotata e che una scala di pietra conduceva agevolmente sul fondo. Cercò con lo sguardo la vecchina, ma non la vide. Si strinse nelle spalle e, senza più pensarci, felice, si affrettò a discendere la scala.

Il pezzo di sapone era scivolato in fondo alla vasca, fin presso un grosso portone chiuso che ne occupava quasi un'intera parete. Meravigliata, si chiese dove immettesse e, vinta dalla curiosità, bussò. Non dovette attendere molto che il portone si spalancò rivelando la presenza di un gattino piccolo e gracile. Nel vederlo così minuto, così esile, Sisína si intenerì e si chinò a lisciargli il dorso.

"Povero gattino", disse, "che ci fai tutto solo in una casa così grande ed umida?

Il gattino inarcò la schiena, grato della carezza. "Ci vivo", rispose in un miagolio, "e ci lavoro. Ora debbo rimettere ordine nella stanza e quindi spazzare e lavare il pavimento".

Per nulla sorpresa che il gatto potesse esprimersi, la ragazza lo spinse delicatamente di lato ed entrò in casa. "Tu sei così piccolo e delicato", notò in tono di rimprovero: "Non puoi faticare tanto! Lascia che sia io a rassettare". Con fare deciso, che non ammetteva repliche, si dette alacramente a riordinare, quindi scopò e lavò il pavimento. Solo quando ebbe finito si rese conto che il gattino si era allontanato. Era così bella, calda e accogliente quella casa che le venne la curiosità di sbirciare in qualche altra stanza. Si affacciò oltre un uscio socchiuso e scoprì una grande cucina dove un micio dall'aspetto delicato si affannava fra pentole e tegami. Non trovò strano che un gatto svolgesse mansioni di cuoco, piuttosto si dispiacque per la mole di lavoro che gravava su quella fragile bestiola, così si offrì di cucinare in sua vece.

Portata a termine tale incombenza, si spinse oltre e giunse nella stanza da letto dove vide un gatto indaffarato a rimettere in ordine un enorme giaciglio disfatto.

"Poverino", lo commiserò. "Lascia fare a me che sono più pratica". Ciò detto, in men che non si dica, rifece il letto. Aveva appena ultimato di spolverare comodini e poltrone che nella stanza fece il suo ingresso una grossa gatta bianca, dal pelo liscio e lucente, dall'incedere misurato, dal portamento altero, che lei pensò fosse la padrona del palazzo.

"Brava! " la complimentò la gatta in un miagolio soddisfatto. "Sei una ragazza buona e diligente".

"Non è nulla", si schermì Sisina, fra timida e compiaciuta. "Sono abituata a tale tipo di lavori". Le venne in mente il bucato da fare. "Vorrei trattenermi ancora un po' per dare una mano, ma purtroppo ho i panni da lavare e temo di aver fatto tardi", si scusò.

"Non preoccuparti", la rassicurò la gatta. "Vai pure tranquilla e vedrai che non ti succederà nulla".

Sisina accennò ad un sorriso, sebbene preoccupata, e fece per accomiatarsi. "Come ultima cortesia", pregò la gatta, "una volta uscita vorrai chiudere il portone. La chiave è custodita in un foro della parete", spiegò. "Bada però di non tirarla subito fuori. Attendi prima il raglio dell'asino e resta immobile; poi canterà il gallo e tu alzerai lo sguardo al cielo. Sarà quello il solo momento in cui ti sarà consentito prenderla".

La ragazza annuì, salutò con un leggero inchino e si affrettò verso l'uscita. Una volta fuori individuò il foro e, come le era stato chiesto, vi introdusse le mani ed attese. Un asino, lontano, emise un lungo raglio e lei, obbediente, non si mosse. Dopo un breve silenzio l'allegro chicchirichì di un gallo si levò nell'aria e lei volse lo sguardo al cielo. Una vivida scia luminosa solcò l'aria ed una stella d'oro le si posò sulla fronte. Fu a quel punto che Sisina ritrasse le mani dal foro e con grande sorpresa e gioia le vide ricolme di monete d'oro. Raggiante, ma pur sempre preoccupata per il bucato che l'atten­deva, risalì la scala che la ricondusse fuori dalla vasca e qui ebbe l'ulteriore gradita sorpresa di trovare i panni la­vati e riposti nel cesto e, su di essi, il sapone residuo avvolto in foglie di vite.

Felice, eccitata, tornò a casa. La matri­gna l'attendeva, arcigna, sulla soglia dell'uscio. "Perdigiorno, mangiapane a tradimento", la redarguì; "dove sei stata tutto questo tempo?" E già si apprestava a bastonarla col lungo cuc­chiaio di legno che aveva tenuto celato sotto il grembiule, quando la ragazza tirò fuori dalla tasca una manciata di monete d'oro e gliela mostrò, raccon­tandole quindi tutto d'un fiato l'acca­duto.

Per l'intera notte la matrigna fu rosa dalla rabbia e dall'invidia e non riuscì a chiudere occhio. La mattina si levò di buon'ora e corse a destare la pro­pria figlia, le apprestò una cesta di stracci e le ordinò di recarsi al lavatoio, raccomandandole di lasciarsi sfuggire il sapone, di fingersi disperata e di seguire le indicazioni della vecchia che le avrebbero consentito di raggiunge­re la dimora dei gatti.

Elvira, insonnolita, livida di gelosia per la buona sorte toccata alla sorella­stra, si incamminò, brontolando e ma­ledicendo, a stento reggendo il cesto in bilico sul capo in quanto non vi era avvezza.

Giunta al lavatoio, prese il pezzo di sapone e lo scagliò in acqua, quindi cominciò a frignare e a spiare intorno, impaziente, l'arrivo della vecchina.

Quando la vide comparire in fondo al viottolo ed avanzarsi, ricurva ed incer­ta, si dette a gemere più forte, a stento celando il dispetto che le provocava la lentezza del suo passo. Dovette atten­dere interminabili minuti prima che quella le fosse vicina e, con impudente gesto protettivo, le posasse la mano sporca e scarna sulla spalla, senza al­cun riguardo per l'immacolata cami­cetta di pizzo che indossava.

Contrariata, disgustata, Elvira si ri­trasse e le lanciò un'occhiata di severo rimprovero che l'anziana donna parve non cogliere in quanto la interpellò con voce dolce ed amichevole: "Per­ché piangi, ragazzina?"

Lei le indicò il sapone in fondo alla vasca. "E melo chiedi?" berciò. "Dim­mi piuttosto come fare per recuperar­lo".

La vecchina annuì condiscendente, schioccò le dita. "Ora puoi andare", disse, e riprese il suo lento cammino. La ragazza costatò soddisfatta che l'ac­qua era tutta defluita dalla vasca e si affrettò a discenderne la scala. Giunta sul fondo, cominciò a vibrare colpi impazienti col piede contro il portone. Il solito gracile micio venne ad aprire e lei, con una pedata, lo spinse di lato. Entrò: la stanza era in ordine, ma si dette un gran daffare, rimuovendo sup­pellettili ed oggetti.

"Qui è a posto", annunciò ad alta voce e corse in cucina dove, scacciato il gatto impegnato ai fornelli, prese a colmare pentole e tegami di qualsiasi cosa di commestibile le capitasse sotto mano.

"Fatto anche questo", gridò e si precipitò nella camera da letto dove palpò materassi e coperte prima di fermarsi, impaziente, ad aspettare.

La gatta bianca non si fece attendere. "Brava", le disse. "Ora che hai fatto ciò che dovevi, puoi andare".

"E la chiave per chiudere il portone!?" insorse la ragazza, aggressiva. "Non mi dici dove prenderla?"

"Già, la chiave..." miagolò in tono grave la gatta. "La troverai in un foro della parete. Rammenta, però, di levar la testa solo al canto del gallo".

Elvira, eccitata, corse fuori ed inserì le mani nel foro indicato. Il gallo cantò, ma lei non si mosse: non era una sciocca! Quella gatta maligna voleva trarla in inganno, ma lei sapeva bene, dal racconto fatto dalla sorellastra, che solo al secondo verso l'incantesimo si sarebbe compiuto.

Così attese e venne il raglio dell'asino, e lei volse lo sguardo al cielo. Una nube nera si staccò dalla plumbea calotta invernale che la sovrastava e piombò sul suo capo, piantandole sulla fronte una repellente coda di ciuco. Inorridita, Elvira ritrasse le mani e le trovò imbrattate di sterco, risalì dalla vasca e vide i suoi cenci disseminati nella mota e, in preda ad una folle disperazione, ciondolando il capo appesantito dalla coda ondeggiante, fece precipitoso ritorno a casa urlando:

"Mamma, mamma, lo 'mbooli 'mbo' [1] piglia re fuorfici e taglielo mo'» [2].

Per quanto la madre, nei giorni che seguirono, si accanisse a recidere quel

la ripugnante appendice caudale, essa ricresceva più lunga e robusta di prima.



[1] Appendice oscillante a guisa di altalena..

[2] Prendi le forbici e taglialo subito.



Lancio di palle di neve.

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