Erano tempi di miseria, materiale e morale, ed i figli indesiderati, i figli della colpa, talvolta soppressi e occultati, più spesso venivano abbandonati nottetempo sui sagrati delle chiese. Ma ben poche di queste sventurate creature riuscivano a sopravvivere, uccise dal freddo della notte o fatte scempio ad opera di cani randagi.
Fu così che le autorità istituirono un anonimo punto di raccolta, nell'edificio successivamente destinato ad ospitare la caserma borbonica, all'imbocco di via Pinnino: un vano di forma quadrata aperto nel muro, comunicante con una saletta seminterrata, in cui le creature ricusate potevano essere deposte per essere affidate a nutrici prezzolate e quindi, svezzate, inviate al brefotrofio.
Quel giorno nonna Rosina si era attardata più del solito per via delle erbacce da estirpare che quasi soffocavano la partita di ceci. Un opaco barlume rischiarava ancora l'orizzonte, ma lei affrettava il passo, paventando la notte imminente. Veniva da San Felice ed era già nei pressi dell'Acquara Nuova quando, improvviso, udì un vagito, flebile, soffocato, indistinto.
Si fece attenta, si soffermò in ascolto, poi riprese a camminare, piano. Il vagito si ripetè, questa volta più nitido, vicino. Frugò con lo sguardo intorno, fra le ombre che già cominciavano a prevalere, ed alfine lo scorse: un minuscolo fagotto adagiato nell'erba del ciglio della strada, un visetto roseo e paffutello di bimba fra le pieghe di uno scialle scuro.
Mossa da istinto materno si chinò e raccolse la creaturina, l'avvolse ben bene per proteggerla dal freddo, la dondolò fra le braccia, vezzeggiandola, perché si chetasse. Un esserino innocente abbandonato, pensò, e stringendola teneramente al petto riprese il cammino.
La strada era ripida, più di quanto nonna Rosina ricordasse, e sì che la percorreva ogni giorno! I ciottoli cedevano sotto i passi facendola scivolare all'indietro e il peso della bambina si faceva sempre più gravoso. Intorno il silenzio della notte incombente: un silenzio innaturale.
Nonna Rosina procedeva a stento, scivolando, ansimando, sudando, le braccia indolenzite dal peso crescente del fagottino umano. Sempre più spesso sostava a riprendere fiato, a tender l'orecchio nella vana speranza di cogliere un suono, una voce, un segno qualsiasi di una presenza che potesse venirle in aiuto. Le braccia le dolevano, il cuore le pulsava impazzito, il peso si faceva sempre più insostenibile. "Fussi riavolo!" esclamò ad un tratto, esausta, disperata, e stancamente si segnò la fronte con la croce.
La sera si rischiarò, la campagna si animò del gracidio delle rane, del lontano abbaiare di cani, del fruscio del vento, mentre della bambina non vi fu più traccia.
Di lì a poco, alcune persone che rincasavano trovarono nonna Rosina ritta in mezzo alla strada, tremante, madida di sudore, incapace di riferire ordinatamente la disavventura capitatale.