Il periodo utile per la terapia dell'ernia del disco era limitato al solo mese di marzo, in coincidenza cioè col risveglio delle piante dal letargo invernale. Preventivamente il guaritore si poneva alla ricerca di una giovane quercia dal fusto diritto, il cui diametro misurasse all'incirca sette od otto centimetri. Individuato l'albero adatto, vi si conduceva il paziente. Con l'ausilio di una roncola ben affilata, il guaritore divideva verticalmente in due il giovane fusto, divaricandone quindi le parti in modo da consentire fra esse un triplice passaggio al sofferente di ernia, ciascuno sottolineato dall'invocazione: "San Luca mio, quest'ernia portala via!".
Ultimato il rito, il guaritore ricompattava il fusto, legandolo strettamente in più punti con sottili e flessibili ramoscelli di salice.
Il progressivo risaldarsi del fusto determinava la guarigione del paziente, che si compiva pienamente solo quando la ferita dell'albero risultava completamente cicatrizzata.