Tale pratica magica era adottata sotto l'impulso di un unico sentimento: amore, oppure odio come degenerazione di esso.
Pur disponendo di confusa memoria di persone che vi si applicassero per compiacenza o dietro compenso, pare che più diffusamente trovasse impiego autonomo da parte di chi ne aveva diretto interesse.
Il maleficio veniva espletato mediante l'associazione di un osso di persona defunta e di uno di cane nero ad una ciocca di capelli[1] della persona a cui esso era diretto. A tale macabra composizione era demandata la realizzazione dell'intento che da solo generava la duplice valenza del sortilegio: di passione, allo scopo di attirare la persona amata; di morte, per punire la persona odiata.
È da escludere la recitazione di una formula che accompagnasse il rito, comunque, se mai vi fu, è andata perduta.
Il sortilegio poteva essere annullato solo da un mago che operava una sorta di scongiuro su uno qualsiasi degli indumenti che la persona colpita dal maleficio aveva indossato.
[1]Dal timore di divenire oggetto del sortilegio trae origine l'uso, protrattosi sino a tutta la metà del secolo in corso, da parte delle donne di bruciare nel fuoco del camino i capelli che restavano impigliati nel pettine.