Gioco largamente praticato nel 1600 col nome di piroccola (bastone), menzionato in un atto notarile degli inizi del 1700, per essere stato un passante di Paterno colpito ad una gamba dal piolo incautamente lanciato.
Quello della trottola (strummolo) è un gioco antichissimo, essendone stati ritrovati esemplari in legno e in terracotta sia a Troia che a Pompei.
Il gioco era praticato esclusivamente dalle ragazze e consisteva nel lanciare contro una parete una palla di stoffa che doveva essere ripresa al volo, seguendo le configurazioni elencate nella filastrocca che nel contempo si recitava: 1) “Ova” (la palla veniva semplicemente ripresa); 2) “non mi muo’[vo]” (si aveva l’obbligo di rimanere con i piedi congiunti e il tronco rigido); 3) “con un pie’[de]” (bisognava raccogliere la palla, restando in bilico su di una sola gamba); 4) “con una ma’[no]” (la presa andava effettuata con una sola mano); 5) “batti batti” (si battevano due volte le mani prima di riafferrare la palla); 6) “zigo-zago” (si protendevano gli avambracci, facendoli roteare parallelamente al petto); 7) “violino” (si ripiegava il braccio sinistro a sorreggere un ipotetico violino su cui, a mo’ di arco, si faceva scorrere avanti e indietro il braccio destro); 8) “un bacino” (si portava la punta delle dita alle labbra e si lanciava un bacio); 9) “e poi ghes” (lanciata la palla, si effettuava una giravolta prima di riprenderla). Naturalmente, se la giocatrice mancava la presa in uno dei passaggi, il gioco passava di mano. In una versione successiva, si registra la soppressione dell’espressione conclusiva “e poi ghes” e l’introduzione, probabilmente ad opera delle suore che gestivano l’asilo infantile, delle seguenti tre nuove configurazioni: 9) “tocco terra” (ci si chinava a sfiorare il suolo con la punta delle dita della mano destra); 10) “tocco cuore” (si posava la mano destra sul cuore); 11) “angioletto del mio Signore” (si congiungevano le mani all’altezza dello sterno, simulando l’atto della preghiera)."
Il giocattolo era esclusiva prerogativa delle bambine ed erano, di solito, le madri a realizzarlo. Da un piccolo riquadro di stoffa bianca e qualche cencio di cui era imbottito, si ricavava un fagottino, approssimativamente sferico, che ne costituiva la testa. Sulla sommità di questa si appuntava, con ago e filo, qualche batuffolo di lana, mentre alla parte opposta si applicava il busto fatto di un sacchettino rettangolare ripieno di pezzetti di stoffa inutilizzabili per altri fini. Alle estremità del busto si cucivano le braccia e le gambe, semplici rotolini di panno. Le bambine giocavano a fare da mamma alla propria pupa di pezza e, quando iniziava il loro apprendistato presso una sarta, si cimentavano nel confezionarle vestiti e grembiuli.
Con l’avvento delle figurine a tema sportivo, si diffuse un gioco prettamente maschile detto shcuoppo. Esso si svolgeva fra due giocatori, talvolta fra tre, i quali contribuivano, con un identico apporto di figurine ciascuno, alla costituzione della posta in gioco. Il giocatore destinato ad effettuare il primo colpo incurvava, preventivamente, il pacchetto di figurine che disponeva su di una superficie liscia, con la parte concava rivolta verso l’alto. Quindi, arcuando leggermente la mano in modo da lasciare uno spiraglio fra l’estremità del pollice e la metà dell’indice, vibrava un colpo al suolo, in prossimità del pacchetto di figurine. Se ne produceva un rumore sordo (shcuoppo) e l’aria, compressa, fuoriusciva dal palmo della mano provocando il rovesciamento del pacchetto o di parte di esso. L’autore del colpo si aggiudicava le figurine capovolte e, nella conquista delle restanti, si cimentava il secondo e, eventualmente, il terzo giocatore.