Da sempre avvezze alla lotta per la sopravvivenza, le genti di Paternopoli ben poco concessero al fatalismo. Convinte che il destino degli uomini potesse essere modificato con il ricorso a riti sperimentati ed a formule antiche, che il succedersi di eventi fausti e nefasti fosse l'alterno risultato dell'eterna lotta fra il bene ed il male in cui l'uomo avrebbe potuto svolgere un proprio ruolo attivo, affidarono alla magia la tutela della salute e dei beni.
Così la saggezza venne ad identificarsi con le antiche credenze e le regole di vita tramandate furono legge fino ai nostri giorni.
In quest'ottica trovano giustificazione le particolari facoltà attribuite ad alcuni animali, riconducibili ad un radicato feticismo.
La civetta preannunciava lutto imminente nell'abitazione presso cui elevava il suo lugubre canto. Nell'intento di soggiogare le forze del male che in essa albergavano, le si dava la caccia e, viva, la si inchiodava sull'uscio, con le ali dispiegate, a monito delle forze avverse in agguato.
Ricercata, quale ostacolo insormontabile da opporre alla cattiva sorte, era la lucertola munita di doppia coda.
Una preziosa alleata, in quanto prediletta dal Santo, poteva essere la coccinella, denominata papoccbiola re Santa Nicola (farfalla di San Nicola). Imbattendosi in essa si era soliti deporla delicatamente sul palmo della mano e declamare:
"La papoccbiola re Santa Nicola face l'uovo e se n'abbola". La farfalla di San Nicola fa l'uovo e vola via.
Sovente l'insetto, prima di involarsi, depositava sull'epidermide una minuscola goccia di liquido color ocra che si riteneva fosse la benedizione del Santo.
Ma più di ogni altro era il gatto, a cui si attribuivano sette vite, a realizzare in sé il concetto del male. Il suo carattere indipendente, le sue lunghe assenze notturne, il suo pianto quasi umano nella stagione degli amori, il suo sguardo magnetico, impenetrabile, a tratti malvagio, gli conferivano alcunché di misterioso e di ostile.
Per soggiogarlo, o come si diceva pe' affamulia'[1] no mucillo (per addomesticare un gattino), gli si sputava in bocca obbligandolo a deglutire la saliva.
Con l'affermarsi della cristianità, alle pratiche arcaiche venne a sovrapporsi, e più spesso a fondersi, il ricorso all'ausilio della divinità e dei santi che si espliciterà maggiormente nella magia terapeutica. Così, per esorcizzare il pericolo dei fulmini di un temporale estivo, che si riteneva fossero manifestazione dell'ira del maligno, invalse l'uso di invocare ad alta voce:
"Santa Barbera e Santa Lena, Santa Maria Maddalena!"
Al concetto di `bene' venne ad associarsi l'idea del sacrificio, della penitenza, della mortificazione della carne, tanto che le strade impervie cominciarono ad essere preferite a quelle agevoli in quanto:
"Pe' la via liscia truovi lo riavolo ca piscia; pe' la via 'ndroppecosa truovi la Maronna ca cose".
Lungo la strada levigata ti imbatti nel diavolo che orina; lungo la strada accidentata ti imbatti nella Madonna che cuce[2].
Generate da un'economia povera, dettate dalla necessità di non indulgere in sprechi e neppure in magnanimità, altre credenze vennero a radicarsi a tutela dei beni materiali.
In contrapposizione al vino, disponibile in quantità sempre abbondante, che, se versato, costituiva auspicio di benessere e prosperità, particolare cura si poneva nel travasare l'olio di oliva, bene prezioso in quanto raro e dai contenuti altamente nutritivi, poiché versarne involontariamente un seppur modesto quantitativo sarebbe stato causa di sciagure.
Così i conigli non potevano essere regalati in quanto, immancabilmente, si sarebbe verificata la moria di quelli restanti. Ove si fosse imposta la necessità di farne dono, per ovviare a tale inconveniente, se ne richiedeva un compenso quale prezzo simbolico.
Addirittura, nel regalare un ago, o anche uno spillo, non doveva trascurarsi di pungere la persona che ne beneficiava, ad evitare di venire con essa a diverbio.
[1]Affamulia'= rendere docile, dall'osco `famel" che significa schiavo.
[2]IL cucito rappresentava la somma virtù femminile. Tale attività era riservata alle nobili castellane.