di Antonino Salerno
Al fine di disbrigare la corrispondenza, era costume, nel XIX secolo, far uso di modelli preconfezionati, infarciti di sdolcinata cortesia tale da indurre un lettore non smaliziato ad attribuire allo scrivente sensibilità ed illimitata devozione, qualità non confacenti alla borghesia dell'epoca, nella maggior parte dei casi determinata a perseguire con ogni mezzo i propri interessi.
Ottemperava alla bisogna un certo numero di foglietti di carta, cuciti insieme in modo da ricavarne un quadernetto in cui trascrivere i più disparati testi epistolari, allo scopo di attingervi espressioni da utilizzare nella stesura di missive. Né mancavano esperti adulatori che, per compiacere qualche signora di alto rango, non si sottraevano all'elaborazione di libercoli contenenti lettere da adattare alle diverse circostanze.
Uno di questi libricini, recante sul frontespizio la scritta Paterno e dedicato All'Egregia Signorina di cui si omette il nome, è pervenuto di recente in mio possesso. In questo, l'autore del non insolito omaggio, si era limitato a stilare le sole prime quattro lettere, la seconda delle quali reca la data del 16 febbraio 1856 e la terza indica in Napoli il luogo di provenienza, lasciando alla destinataria il compito della compilazione delle pagine successive. Comunque le trascrizioni in esso contenute, tutte prive dei nomi sia dei mittenti che dei destinatari, sono state vergate da mani diverse, tali da indicare che l'utilizzo del libricino-guida abbia riguardato una pluralità di persone.
Inoltre, ad esso fu aggiunta una Raccolta – Di varie lettere moderne – Per uso dell'Eccellentissima Signora – Religiosa D. Maria, ad opera di tale Raffaele Pepe, di cui solo la prima, indicata come Lettera di augurio, inizia con Napoli il dì ... 1818.
Ad una prima scorsa, avevo giudicato non degno di approfondimento il documento, in quanto ridondante di ipocrisia e di falso buonismo; ma poi, ad una lettura più attenta, ho rilevato che da esso emerge la quotidianità della borghesia latifondista del tempo, che lo rendeva degno di maggiore attenzione.
Da subito, dalla corrispondenza intercorsa fra membri di una stessa famiglia, appare evidente che molti dei giovani maschi, trasferitisi nella capitale per compiervi gli studi, finivano con lo stabilirsi ivi definitivamente, talvolta contraendo matrimoni con le donne del luogo, mentre permanevano in paese i genitori, dediti a vigilare sui propri interessi collegati ai fondi concessi in fitto o mezzadria. Presso di essi restavano le figlie femmine che, acquisiti in ambito domestico i primi rudimenti di scrittura e di calcolo sotto la guida di un precettore, di solito un familiare avviato alla carriera ecclesiastica, venivano di seguito affidate ad uno degli istituti religiosi della provincia per il completamento della loro istruzione, come evidenziano le ricorrenti annotazioni dell'epoca, del seguente tenore:
A di 19 O.bre 1794. D. Gius.e (Giuseppe) Rossi pose sua Fig.a (Figlia) Maria Gius.a (Giuseppa) nel Monistero di S. Giorgio di Montefusco per educanda, con l'obbligo di docati 50 annui, ed il semestro sempre anticipato
Completato il corso formativo, conducevano, costoro, una vita riservata, all'interno delle mura domestiche, intente al cucito e al ricamo, senza tuttavia rinunciare alla cura del proprio aspetto, nella sospirata prospettiva che qualche giovane del proprio rango le chiedesse in sposa. Attente all'eleganza, appagavano la propria vanità facendosi confezionare in Napoli gli abiti da sfoggiare, per assistere alle funzioni religiose domenicali, occasione quasi unica in cui apparivano in pubblico.
Un'idea delle difficoltà connesse a tale tipo di compere, effettuate per interposte persone, è rilevabile dallo scambio di lettere, in relazione all'acquisto di una mantiglia, intercorso fra il fratello della committente, la stessa committente e tale D. Enrichetta di Napoli. Dalla capitale, il primo febbraio 1856, colei che aveva ordinato il capo di abbigliamento riceveva assicurazioni in merito: Cara S.lla (sorella). Con molta gioia sento che tu stai bene: sempre così! A torto è il tuo risentimento; per non averti scritto non è dipeso da me, ma perché mi manca il tempo al tutto, e non per disamorevolezza. Ti giuro di non aver ricevuto niuna tua lettera per la posta: e ciò me ne incresce d'assai. D. Enrichetta non appena ricevuta la tua commissione me ne ha tenuto avvisato. Tu stai tranquilla che l'avrai di gusto. I miei saluti a tutti della famiglia; ed abbraccio: sono il tuo fratello.
Tuttavia, ancora a distanza di giorni, non era stato possibile soddisfare la richiesta della donna. Infatti, il fratello le scriveva: Ieri sera vidde D. Enrichetta, e mi disse di non aver potuto trovare niuna mantiglia per il prezzo mandatele. Ho pensato di ordinarla a bella posta con differenza di pochi altri carlini di più: quindi appena ricevuta, sarai compiacente mandare subito il denaro.
Quindi, D. Enrichetta informava: Se ò tardato fino ad ora ad inviarvi la mantiglia, è che non avendola trovata di mio gusto, ò dovuto ordinarla appositamente, e voi conoscete i sarti come sono impertinenti, quando si prendono un lavoro; ma nella settimana entrante mandate il porgitore, che tutto sarà pronto.
Finalmente le aspettative della committente furono soddisfatte, sicché potette esprimere la propria gratitudine a D. Enrichetta: Non so niune espressioni sufficienti per ringraziare abbastanza, il vostro ben formato cuore, del soverchio incomodo che siete obbligata a prendervi p.(per) me immeritevole: dovete però compatirmi se troppo mi abuso della vostra bontà e cortesia: non so a chi rivolgermi per queste incombenze, se non a Voi che mi siete molto affezionata, ed intelligente di questa cosa. Avete operato molto bene in comperar Voi la roba per la mantiglia e farla eseguire all'ultima moda.
Altra signora, avendo incaricato una sua comare di farle confezionare due vestiti, ne riceveva richiesta di chiarimenti: Mia affezionatissima comare. Ho ricevuto lo vostra gratissima lettera e con essa i comandi di cui mi onorate e non mancherò di servirvi come voi meritate, assicurandovi che noi qui siamo pronti ad ogni vostro cenno. Solo amerei conoscere a posta corrente, se i due abiti li volete di disegno simile o diverso.
In riscontro, la richiedente specificava: Non faceva necessità aspettare da noi ulteriore consiglio pel disegno delle vesti, che tutto fù lasciato al vostro arbitrio, intanto per vostra pace e quiete vi soggiungo che siano di una stessa roba; solamente vi raccomando a farle cocire semplici, ed al più presto possibile essendosi ben inoltrata la stagione.
Occorse più tempo del previsto prima che i vestiti potessero essere spediti, accompagnati da lettera esplicativa: Mia carissima Signora Comare. Vi rimetto gli abiti di cui mi deste i comandi, e mi auguro che siano di vostro gradimento tanto per la roba quanto per la manifattura e che vadano bene. La roba de' detti abiti è vera di Francia, e mediante l'amicizia che un amico tiene col negoziante Fiore, ci è riuscito di averla a carlini sei e mezzo la canna . Quindi lo importo totale della stessa è di ducati cinque e grana venti avendone preso otto canne che tante ne cercò il sarto. Lo stesso con picciole spese e manifattura ha chiesto carlini ventidue per ogni veste. I detti abiti secondo ultimamente vi scrissi sono pronti da circa venti giorni; non si sono potuto rimettere per mancanza di comodo .
Non mancò, la committente, di ringraziare la comare per la sua disponibilità, nel contempo, però, contestando l'esosità del sarto: Gli abiti che vi siete compiaciuta farci cocire sono stati di sommo nostro gradimento, sì per la qualità della roba sì perché ci vestono bene. Son rimasta scandalizzata dal sarto riguardo alla manifattura perché vuol essere troppo esigente e rigoroso, dovrebbe ricordarsi che le vesti son cucite colla massima semplicità, e senza molta fatica e ne di finimenti, ne di altri lavori; a pari non può dolersi se per la semplice manifattura, e picciole spese gli fò pervenire carlini trentadue.
Senza limiti era la vanità femminile e la necessità di soddisfarla, per adeguarsi alla moda del momento, imponeva un continuo rinnovo del guardaroba che, a sua volta, coinvolgeva familiari o anche semplici conoscenti residenti nella capitale. All'ennesima richiesta pervenutale, così rispondeva uno di questi: Mia Carissima Amica e Parente. Mi arrivano assai grati i vostri comandi e mi darò tutta la cura onde ben servirvi come meritate; debbo però dirvi che non sarà male lo aspettare qualche poco, mentre ora non è la stagione propria della mantiglia che desiderate; anzi posso dirvi che essendo da qualche giorno partito CC per Parigi nonche altri Negozianti, tra poco porteranno delle novità in moda, e precisamente per i modelli: così potrò meglio sodisfare i vostri desideri, ed intanto vi accuso il recapito delle dodici piastre che mi avete mandato.
All'assolvimento di tali incombenze si associavano spesso scambi di doni che servivano a consolidare i rapporti di amicizia. Così: Carissima D. Maddalena. Sono veramente contenta che la mantiglia abbia incontrato il vostro genio ... Vi ringrazio dei caciocavalli che mi avete favorito, e voi anche in segno dell'affetto che vi conservo gradite rot: (rotoli ) tre di tonno in salsa che mangerete in unione della famiglia.
Altre, invece, si rivolgevano direttamente alla sartoria di fiducia, come si evince dalla seguente missiva: Carissima D. Rosina. Compiacetevi di mettere sopra al mio cappello un velo, che sia di vostro gusto. Dite a vostro marito, che oramai si trovasse accomodata la mia mantiglia si compiacerà rimettermela pel mio Iomastico; come pure raccomandandogli la sollecitudine per gli abiti.
Se intensi erano i rapporti epistolari, raramente si intraprendevano viaggi verso la capitale e viceversa. Per le condizioni delle strade e l'inadeguatezza dei mezzi di trasporto, occorrevano quasi due giorni per coprirne la distanza, come ben si evidenzia dal seguente stralcio di lettera: Cara sorella ... martedì e mercoledì si fanno le picciole spese, e si fitta la carrozza, e giovedì si parte per trovarci venerdì in Fontanarosa.
Ed in altro, relativo al ritorno da Napoli: Noi ci siamo rimpatriati felicemente senza nisuno ostacolo arrivammo in Avellino sabato alla sera ad un'ora di notte circa; ci trattenemmo costà la giornata di Domenica ed ieri mattina a mezzo giorno giungemmo qui.
Oltretutto, le strade erano rese insicure dagli agguati non insoliti tesi da malviventi, per cui era opportuno tutelarsene, provvedendosi di una scorta fidata: Noi ci rimpatriamo nella settimana entrante con D. Francesco: per la posta vi farò conoscere il giorno preciso onde potete mandare la vettura, ed invece degli Urbani inutili sostituire (con) due gendarmi che si trovano costà fino al passo di Mirabella.
Non solo la distanza ed il rischio di incappare in incontri indesiderati scoraggiavano dall'intraprendere viaggi. Il fondo stradale sconnesso, solcato dalle profonde tracce impresse dal transito dei carri pesanti, e le carrozze non sempre confortevoli mettevano a dura prova l'incolumità dei passeggeri. Ne rendono testimonianza le numerose missive inviate a conclusione di essi:
Gentilissima Sig.a. Con questi pochi righi vengo a darvi contezza del disastroso viaggio sofferto nel ritorno dalla Capitale, sì per l'incostanza del tempo, che per la carrozza non troppo buona, che Dio sa come ci condusse. Non cesso però di ringraziare la Divina Provvidenza, che ci fece giungere salvi in famiglia dopo tanti trapazzi. Circostanza questa, che mi ha fatto molto danno nella salute, e soprattutto al ginocchio, che si è gonfiato in modo che appena posso reggermi per regolare gli affari di casa.
Altra: Giunsi sabbato all'ora 22 a salvamento nella Capitale p. grazia di Dio, ma giunsi un poco strapazzata per il viaggio così disastroso, ed un po' afflitta per aver lasciato la cara patria (Paternopoli).
Altra ancora: Mia carissima. Noi grazie al Cielo siamo giunti tutti a salvamento, ma io sono arrivata molto strapazzata per la causa dell'enfiore a piedi.
Ed ancora: Io non ancora sono uscito per lieve indisposizione avvenutami dal trapazzo: Sì poco avvezzo a cotali viaggi.
Le difficoltà incontrate in tali spostamenti si rilevano, indirettamente, pure nel rammarico espresso da chi ne era venuto a conoscenza: Gentilissima Signora. Non potete immaginarvi quanto è stato grande il mio dispiacere nel rilevare dalla vostra pregiatissima le disavventure avvenutevi per quel infame viaggio.
Tuttavia, nella buona stagione in cui si era soliti concedersi i bagni e la cura delle acque presso gli stabilimenti termali di Casamicciola o di Castellamare, nonostante i rischi e i disagi che comportavano gli spostamenti fra l'Irpinia e la capitale del Regno, i maggiorenti locali non si sottraevano al sacrificio di affrontare un sì faticoso viaggio. Lo imponevano lo stato sociale e le opportunità che la mondanità di quei luoghi poteva offrire. Comunque, non rinunciavano ai sapori ed alla genuinità dei cibi della terra natia, per cui si dotavano di provviste, o impartivano disposizioni affinché ne venissero inoltrate.
In relazione a ciò, non mancano riferimenti nella corrispondenza intercorsa durante il periodo estivo: Vi fò sapere che sono giunta a salvamento con i miei figli. Ò ricevuto per il latore la roba puntoalmente e ve ne sono grata: Ma vi prego per altro commodo mandarmi le proviste perché ci siamo dicisi mangiare a casa a ragione, che alla trattoria pagheremo del caro e senza mica soddisfarci.
E a colei che scriveva: Io ho cominciato i bagni e grazie a Dio vado meglio con i piedi ... Se avete avuti dai parsonali i pollastri me ne manderete quattro nel primo commodo che si presenta, la destinataria rispondeva: Mi sono molto consolata di aver rilevato dalla tua lettera che la tua salute va migliorando alla giornata, e mi spero che vogliate venire perfettamente sana nella patria. Ricevi per il presente quattro pollastri e otto ricotte, che mangerai in mio nome.
Un altro informava: I bagni vi fò sapere che mi giovano immensamente grazie all'Altissimo. Abbiamo ricevuto tutto esattamente e ve ne siamo obbligati.
Non di rado, alla normale corrispondenza era associato lo scambio di regali, che costituivano comunque una costante in occasione delle festività natalizie e pasquali. Unitamente alle espressioni augurali, informate allo stereotipo in uso, si inviavano nella Capitale prodotti tipici della civiltà contadina e della tradizione locale. Si legge: Intanto vi prego gradire una coppia di capicolli, e paja quattro butiri (butirri), che ne fate brindisi per amor mio. Ed altrove: Credo che vogli gradire di core pochi taralli al numero 50 paja 6 di soppresate ed un capicollo. In altra lettera: Ricevete per il presente un piatto di gelatina capi 30 di salsicci e quattro torrogini ai Ragazzi. Ed in altra ancora: Vi rimetto un canestro di frutti che ho ricevuto al momento da un mio colono.
Questi doni erano ricambiati con dolciumi e liquori, non reperibili nei modesti negozi di paese, quali: quattro bottiglie di acqua di cannella; oppure: quindici pezzi di raffaioli e pasta reale 36 e 16 carciofi; o anche: 24 sfogliate; o: la solita scatola di dolci con quattro bottiglie di rum.
Non mancano, nell'epistolario, lettere di auguri improntate ad esagerate manifestazioni di stima e di affetto, rese insincere dal formalismo evidente, quale quella spedita da Napoli in un imprecisato giorno dell'anno 1818:
Carissima mia Sig.ra D. N.
Crederei di mancare ai miei precisi doveri, se nella ricorrenza del suo giorno onomastico tralasciassi di augurarle dal Cielo tutto ciò, che può formare l'oggetto dei suoi puri desiderj, ed una pienissima contentezza. Vi adempio dunque col più vivo del mio cuore, che pur troppo è sensibile all'impressione di una leale amistà, qual per l'appunto è quella, che per un tratto di mia propizia sorte a lei mi unisce. Sorga per lunga serie d'anni sempre serena, e ridente l'aurora di un sì bel giorno, che recandole il colmo di una perfetta felicità per floridezza di salute, e di fortuna, rifletta il riverbero di una intensa soddisfazione, e compiacenza di chiunque ha il piacere di conoscerla da vicino, e di ammirarla per le amabili qualità, che l'adornano. Non diffido punto, che il benigno Autore della nostra esistenza voglia secondare i miei teneri voti, figli di un cuore tenero, e sincero. Mi presenti qualche occasione per contestarle sempre più coll'ubbidienza a' suoi comandi il mio attaccamento, ed in tale aspettativa passo a raffermarmi
Obbma Serva V.a ed Am.a Aff. (Obbligatissima Serva Vostra ed Amica Affezionata).
Né poteva mancare la lettera di risposta di una donna a quella del proprio marito partito per la capitale, il cui stile ampolloso rivela più un'inclinazione alla formalità che l'intento di manifestare sentimenti sinceri:
Caro Sig:
Con infinito piacere ho ricevuto la v.a (vostra) pregiatissima lettera in data corrente, ma poi mi sono molto afflitta d'aver rilevata dalla stessa l'infelice viaggio che avete sofferto, ma grazie al Cielo godo in sentirvi di perfetta salute per mia unica consolazione, per divino favore disposta ai vostri pregiati comandi. Son sicura che mi amate, e mi siete fedele, come pure mi dovete credere così, che io vi amo quanto me stessa, e dove si estendono le mie deboli forze non cesserò d'amarvi.
Tuttavia l'epistolario, spogliato dei preziosi orpelli di cui è infarcito, offre uno spaccato della quotidianità della provincia rurale del XIX secolo, dominato da un vuoto esistenziale in cui si contrapponevano l'aspirazione alla mondanità e l'attaccamento alla propria terra con i suoi ritmi lenti, ma comunque rassicuranti.