Cantami, o Musa, l’ira funesta della nobil casta/Che infiniti spasmi infligge al misero volgo, /getta in preda alla popolar furia alme laboriose,/ne fa il bottino di cani famelici,/ e il piano dell’Olimpo si compie.
La storia che stò per raccontare accade in un paese meraviglioso dove il sole splende per la maggior parte dell’anno e le viti e gli ulivi crescono rigogliosi. Una terra ideale anche per gli Dei, la nobil casta. Sulla cima del monte più alto, c’è l’Olimpo, la dimora degli Dei, avvolto in una nebbia perenne, e non è dato di sapere al popolo ciò che avviene all’interno di esso. Non è permesso a tutti di salire sulla vetta, perché si potrebbe scatenare l’ira degli Dei, divinità immortali, superiori agli uomini, potenti e capaci di magie e grandi imprese. Nel loro corpo non scorre sangue, ma un preziosissimo liquido trasparente e sono tutti belli e amabili di aspetto. Ma, come i comuni mortali, sono afflitti da insane passioni quali odio, vendetta, rabbia, gelosia, invidia. Inoltre, sono anche capaci di capricci, trucchi, bugie per ottenere ciò che stà loro a cuore e, il misero popolino che vive all’ombra dell’Olimpo, non si deve stupire dei loro comportamenti non proprio “divini”.
Di solito sono invisibili, come conviene ad una così alta casta, vivono isolati nella loro dimora dorata da dove decidono il destino dell’umanità. Se è il caso, però, appaiono anche agli uomini, leggono nel loro pensiero e perfino farli pensare e agire secondo la loro volontà. Intervengono nelle faccende degli uomini ogni volta che fa loro comodo. Cambiano gli eventi, i destini, persino i sentimenti, salvando o condannando e pretendono sempre onore, rispetto e obbedienza. Quello che più infastidisce gli Dei sono gli eccessi dei comuni mortali e che non godono dei loro favori: fortuna, alacrità, successo, operosità, e così via. In questi casi intervengono tempestivamente e, con modi molto spiccioli e disinvolti, bilanciano la situazione, mandando qualche accidente al malcapitato di turno, senza nessun criterio logico, senza nessuna morale. Sono fatti così, gli Dei.
Zeus era il Dio supremo dei Greci. Creatore, protettore e Signore di tutti gli Dei dell’Olimpo, quanto del genere umano, nonché il re del cielo, il Dio della pioggia e dispensatore di tuoni, fulmini e saette. Gli antichi romani lo chiamavano Giove e lo identificavano come protettore di Roma. Veniva denominato Iuppiter Optimum Maximus (il migliore e il più grande) ed era venerato e onorato in alcune contrade a lui devote, portato in processione sulle spalle da fedeli centurioni con tanto di questua che le matrone romane, in rappresentanza delle più nobili e illustre famiglie patrizie, facevano per la sua festa. In quanto Iuppiter fidius, Giove era il custode della legge, il difensore della verità, il protettore di giustizia e virtù, nonchè il paladino della legalità e dell’onestà, aggiungo io.
Zeus-Giove, prima di regnare nell’Olimpo, dovette sconfiggere i suoi nemici: i Titani, i Giganti, i Centimani. Purtroppo, nonostante il fatto che questi mostri mitologici fossero stati sconfitti, spianandogli la strada verso l’Olimpo, non fu sufficiente. Bisognava annientare altri mostri che si rivoltavano contro di lui. Non sarebbe stata impresa facile sconfiggerli, potevano essere annientati solo se colpiti con armi sleali (che in tempi moderni identifichiamo con l’abuso di potere) rappresentate dall’inganno, dalla cattiveria, dall’invidia, dalla sete di vendetta.
Suo grande alleato, in questo disegno scellerato, era Vulcano, il Dio del fuoco e della lavorazione dei metalli. La leggenda vuole che il Dio forgiatore nacque così brutto che sua madre, vedendolo, emise un grido di orrore e lo gettò in mare, dove era meglio se ci fosse rimasto, perché l’umanità si sarebbe risparmiato un’infinità di guai. Purtroppo, fu salvato da un Ninfeo che, per uno strano e incomprensibile disegno divino, lo scelse tra tanti altri più belli e meritevoli di lui, lo portò all’Olimpo dove gli collocò la sua officina. La sua bruttezza rimase comunque. Protetto da Zeus-Giove e barricato in una fitta nebbia di omertà che alimentava la fucina dove arroventava il ferro per batterlo all’incudine, il Dio Vulcano si avvaleva della preziosa collaborazione dei Ciclopi, mostri mitologici che godevano anch’essi, e come, dei favori divini. Costruttori di solide mura di cinta dell’officina e fabbri di provata esperienza, sotto lo sguardo attento e vigile del Dio Vulcano, fabbricano ancora oggi le potenti saette che il supremo Dio Zeus-Giove scaglia sul popolo inerme, conquistandosi i favori di pochi e il dissenso di molti. Il Dio Vulcano e i suoi Ciclopi, instancabili, sono sempre all’opera, forgiano in continuazione saette anche per uso personale che noi, in tempi moderni, chiamiamo interessi privati in atti d’ufficio. La mitologia classica ce li presenta come mostri mastodontici “avevano forza nelle mani, nell’opera grande scaltrezza”, e io aggiungo “nella testa nauseanda poltiglia”. Vengono raffigurati con un solo occhio in mezzo alla fronte. Per la verità, gli pseudo-Ciclopi e lo stesso pseudo- Dio Vulcano, di occhi ne hanno due, forse quattro, ma vedono comunque con uno solo che li porta a guardare sempre nella stessa direzione, quella della cupidigia e dell’opportunismo.
Per fortuna nulla è statico, ma tutto si muove. Le cose si evolvono, subentrano nuove situazioni e quello che va bene oggi potrebbe non andare più bene domani. Si sciolgono vecchie alleanze e se ne formano nuove, si ribaltano le poltrone del potere, si formano delle crepe nel muro di cinta dell’officina divina e potrebbe anche diradarsi la nebbia di omertà che avvolge perennemente l’Olimpo. I Fabbri divini si attireranno l’ira di Zeus-Giove che scaglierà su di loro i tuoni, i fulmini e le saette che loro stessi hanno costruito. Anche al Dio Supremo potrebbe capitare la stessa sorte. Reso cieco dalla sua famelica voglia di potere potrebbe, a sua volta, diventare vittima dei suoi fedelissimi centurioni che ribalteranno l’augusto trono e, come esperti e collaudati burattinai, manovreranno i fili del potere senza scrupolo adeguandosi alle nuove situazioni che si vengono a creare. E’ noto a tutti che le stesse persone, una volta ottenuto ciò che vogliono e sazi della solita minestra, voltano la faccia dall’altra parte per individuare nuovi burattini da maneggiare a loro piacere. E la storia si ripete. Eppure basta fare memoria di un passato neanche tanto lontano per ricordare che alcune persone, nel cuore del Dio Vulcano e nelle simpatie del Dio Zeus-Giove, non hanno mai potuto guadagnare il consenso popolare per salire ufficialmente le scale dell’Olimpo. Vi accedono, però, per la porta di servizio, ricevute e riverite con tutti gli onori. Calpestano il tappeto rosso steso a terra in loro onore e che fa da guida fino alla sontuosa sala del trono dove, ad attenderle, c’è l’Onnipotente. Soddisfatti del superbo lavoro svolto nell’officina divina, con un sorriso di circostanza, con uno sguardo d’intesa, con una stretta di mano (ai galantuomini basta questo) sanciscono nuove alleanze e stringono patti segreti che al popolino non è lecito svelare. Viva la democrazia, la legalità e l’onestà e chi la rappresenta. Al Dio Supremo, Signore del cielo e della terra, è concesso tutto. Secondo un suo incomprensibile e macchinoso disegno, distribuisce a larghe mani favori e onori a taluni e infligge punizioni e castighi ad altri. Poveri ingenui che sono gli pseudo-Dei e gli pseudo-Ciclopi. Forse, potranno anche sfuggire al Tribunale umano, ma sicuramente non a quello divino, da cui nessuno si salva. E allora sì che sarà “pianto e stridor di denti”.
C’è una bella differenza tra gli Dei della mitologia e quelli moderni. I primi sono sopravvissuti allo scorrere dei secoli, sono veramente immortali e abiteranno per sempre nell’Olimpo. Sono potenti e, nell’immaginario collettivo, suscitano ancora tanta simpatia. Gli pseudo-dei non hanno il dono dell’immortalità, non dimoreranno per sempre nell’Olimpo perché non l’hanno acquistato con il sudore della loro fronte, né l’hanno ricevuto in eredità. La loro potenza è effimera e momentanea e non lasciano nell’animo della collettività sempre un buon ricordo. Spesso fanno una fine ingloriosa, entrano ben presto nel tunnel della dimenticanza, vittime della loro stessa arroganza, superbia, invidia, cecità. Da qualche parte ci sarà pure un Ulisse-Nessuno che farà girare il palo rovente negli occhi del Dio supremo. Lo renderà innocuo e, allora, quando invocherà aiuto, i suoi “amici” gli chiederanno. “Chi ti ha colpito?”, egli griderà : “NESSUNO” e quelli se ne andranno dirigendo i loro passi verso il nebbioso Olimpo per conquistare i favori di un altro Zeus-Giove. Naturalmente, per correttezza, bisogna anche dire che l’Olimpo, è stato quasi sempre avvolto nella nebbia dell’omertà, della compiacenza, delle omissioni, dell’indifferenza. Ma questa è un’altra penosa e triste storia, quella di un leggendario re e della sua corte di nobili dame, di aggraziati damerini, di prodi e valorosi cavalieri, di giostre e tornei, di menestrelli e giullari. Ne parleremo in un’altra occasione.
Barbieri Cristina