Il Muliniello

di Antonino Salerno

Percorrendo l’antica strada che dal borgo di Paterno discendeva sino al fiume Fredane, oltre il quale si immetteva sulla via Napoletana, oltrepassato il sobborgo un tempo detto Puzzago e già in vista della fonte a getto perenne dell’Acquara Nuova, una diramazione volge a sinistra verso la propaggine nota come Tuoppolo dell’Acquara.

Era questa l’antica via che, lungo il vallone della Nocelleta, conduceva al feudo di Poppano ed oltre. Poco più che un sentiero, aggredito da rovi ed arbusti, il fondo stradale, in terra battuta, si presenta sconnesso e cosparso di ciottoli messi allo scoperto dal defluire delle acque piovane. Lungo il tratto iniziale, in ripida discesa, l’incedere è difficoltoso, ma presto il declivio si fa meno aspro ed ecco apparire, sommersi dalla natura selvaggia, a ridosso del torrente in fondo alla scarpata, i ruderi di un antico mulino a funzionamento idrico, denominato nella tradizione popolare Muliniello.

Per la sua scarsa rilevanza nell’economia locale e per la discontinuità di funzionamento, ne tacciono i documenti più antichi, eppure le sue origini, per il ruolo suppletivo svolto nei confronti di quello costruito sul fiume Calore con l’apporto dei monasteri di San Quirico e di San Pietro che ne detenevano rispettivi impianti di macina, a rigor di logica debbono essere legate alla fondazione della comunità religiosa di Santa Maria a Canna.

Se ne fa incidentalmente menzione, per la prima volta, nell’inventario dei beni della Chiesa Maggiore, redatto il 22 giugno 1720, inrelazione all’attribuzione alla Cappella del SS.mo Corpo di Cristo, in località L’Isca di Andreola, di … un territorio seminativo … confinato da uno lato li beni dell’università di d.a terra, dal altro lato, e sotto via Publica che va al molino … [1]

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Pozzo di raccolta delle acque

L’Isca di Andreola denominava la località di poco a valle del monastero di Santa Maria, al disotto de lo Tuoppolo dell’Acquara e sottoposta al loco detto anticamente lo Lago, con riferimento all’anfratto in cui stagnava l’acqua proveniente dalla sovrastante zona paludosa, bonificata fra il XV ed il XVI secolo con la costruzione della fontana a getto perenne dell’Acquara Vecchia. Dalle acque della palude, prima, da quelle defluite dalla fontana, poi, era alimentato il Muliniello. Sottoposto a ristrutturazioni e continui ammodernamenti, nell’ultima versione mostra un pozzo circolare dalle pareti in pietra lavorata, destinato all’accumulo delle acque in esso incanalate mediante un condotto a cielo aperto. Al disotto di esso si ergono i resti dei muri perimetrali di due vani, il primo dei quali adibito a contenere la macina ed il secondo utilizzato come deposito.

Il Muliniello costituì la prima esperienza in materia da parte dei fondatori del monastero di Santa Maria, oppure la sua realizzazione si rese necessaria solo successivamente, per sopperire alle ricorrenti fasi di inagibilità del mulino sul Calore? In assenza di documenti relativi, è impossibile stabilire priorità.

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Resti del Muliniello

Ci è noto, dal Chronicon di Falcone Beneventano, che Anno Hoc (1120), Mense Maio, tertio ante festivitatem morire sancti Eustasii magna fluminis Caloris advenit inundatio, quam nemo ipso tempore potuerit ricordari. (In questo anno [1120], nel mese di maggio, sul finire del terzo giorno antecedente la festività di Sant’Eustacchio si verificò una grande inondazione del fiume Calore, tale che nessuno potette ricordare [essere mai avvenuta] in simile periodo). Che tale catastrofico evento danneggiò gravemente, impedendone per oltre un ventennio l’attività, il mulino sul fiume Calore, è confermato dalla donazione fatta nell’anno 1142, unitamente alla chiesa di San Quirico, dal feudatario Guglielmo all’abbazia di Montevergine, del predictum molendinum cum parte arcature sue et cum integro sedio suo et cum introytu et exitu suo et cum lignaminibus eidem molino subficientibus ad aptandam arcaturam solumodo pro palata iamdicti molendini que convenerit propie parti (eiusdem molendini)que predicta lignamina debemus predicte ecclesie dare quotienscumque videbitur predicta palata esse fracta [2] (predetto mulino con le sue arcate parzialmente idonee e l’edificio integro, con i suoi canali di ingresso e di uscita delle acque e con il permesso di tagliare legname sufficiente a riparare le arcate dello stesso mulino, nonché la diga dello stesso mulino, che risulta in parte rotta, e per la cui sistemazione ci eravamo impegnati a fornire legname alla stessa chiesa).

Edunque evidente che il mulino sul Calore rimase inattivo dal 1120 ad oltre il 1142.

Un’economia esclusivamente agricola ed una alimentazione prevalentemente a base di farinacei necessariamente implicavano la presenza di un impianto di macina alternativo. E dove poteva essere questo ubicato se non a ridosso del vallone della Nocelleta, nei pressi del monastero di Santa Maria, ove l’apporto costante, seppure ridotto, di acque provenienti dalla sovrastante zona paludosa ne poteva garantire il funzionamento? Ne consegue che già nell’anno 1142 era attivo il Mulinello e che il ricorso ad esso, seppure discontinuo, fu incessante, stante l’inaffidabilità del mulino soggetto alle intemperanze del fiume Calore.

Ne è riprova quanto emerge dallo scambio operato il 31 ottobre 1365 da Filippo Filangieri con l’abbazia di Montevergine, a cui cedette alcuni beni immobili in Nocera, ricevendone in cambio locum unum seu sedium positum in Casali Paterni, quod fuit alias molendinum … iuxta flumen Caloris … ut dixerunt cum aquis aquarumque decursibus, et longum tempus est annorum quinquaginta et plus, quod dictum molendinum fuit destructum, et sedium ipsum fuit et est vacuum dirutum et plenum ac totaliter complanatum, ita quod nulla remanserunt nec apparent vestigia molendini [3] (un luogo o sito ubicato nel Casale di Paterno, che un tempo fu mulino … presso il fiume Calore … che dissero con canali di affluenza e di scarico delle acque, ed è lungo tempo, da cinquanta anni e più, che detto mulino fu distrutto, e lo stesso luogo fu ed è vuoto, diruto, ricolmo e completamente spianato, sicché nulla rimane né appaiono i resti del mulino).

 Con l’acquisizione del mulino sul Calore alla corte feudale, fu introdotto l’obbligo di macina presso di esso, da cui era però esente il monastero di Santa Maria che, per le proprie esigenze, continuò a servirsi del Mulinello.

L’11 aprile 1677, Cesare Carafa, principe di Chiusano, comprò il feudo di Paterno, subentrando così nel possesso dell’antico mulino sul fiume Calore.

Fu soppresso il monastero di Santa Maria, a cui però sopravvisse il Muliniello, sito lungo il vallone della Nocelleta, di cui restava proprietaria l’Abbazia di Montevergine, per sopperire alle necessità della popolazione nei frequenti periodi di inagibilità di quello baronale. Infatti, quest’ultimo, per il convogliamento delle acque, continuava ad avvalersi di un antiquato, quanto rudimentale, sistema di sbarramento, costituito da fascine trattenute da pali infissi nel letto del fiume, che ne evidenziava la fragilità in occasione delle ricorrenti ondate di piena.

La precarietà della diga è confermata dai gestori del mulino che, ancora nell’anno 1732, per l’ennesima volta dichiaravano: “… quale molina in quest’anno non macinarono circa quattro mesi, e la causa fu perché la fiumara di detto Calore ne menò la palata, e quella nuovamente si rifece, e fatta che fu, di nuovo il detto fiume ne la menò [4].

Il 2 agosto 1806 fu promulgata la legge per l’abolizione della feudalità. Venuto meno l’obbligo di macina presso il mulino feudale, Francesco Carafa d’Andria, ultimo signore di Paterno, vendette l’antico mulino sul fiume Calore a Carmine Modestino.

Successivamente, in seguito alla dismissione dei beni del clero iniziata nel 1807, la famiglia de Jorio comprò dall’Abbazia di Montevergine i fondi della Pescarella, ivi compreso il Muliniello, appartenuti al monastero di Santa Maria a Canna.

Qualche decennio più tardi, nel 1847, nonostante l’opposizione di Carmine Modestino, proprietario del mulino sul Calore, i de Jorio fecero costruire presso il suddetto fiume, a monte della foce del suo affluente Fredane, un nuovo mulino con struttura in muratura tanto per la diga quanto per i canali di immissione e di scarico [5].

Decadde l’antico mulino sul Calore per l’inadeguatezza delle strutture e, già a partire dalla seconda metà del XIX secolo, la famiglia de Jorio, con la gestione del nuovo mulino sul Calore e del Mulinello, si trovò ad operare in regime di monopolio.

Ma si chiudeva l’Ottocento ed una nuova minaccia incombeva sugli interessi dei de Jorio. In Luogosano, sul fiume Calore, fu costruita una centrale idroelettrica, quindi un’altra sorse in Ponteromito e, inesorabilmente, cedevano alla elettrificazione i paesi della media valle del Calore. Ostinatamente se ne sottraeva l’Amministrazione Comunale di Paternopoli, retta dai de Jorio, nel fondato timore che ciò preludesse all’istallazione di nuovi impianti di macina a funzionamento elettrico, meno decentrati e più efficienti, che avrebbero reso obsoleti i propri, finché, sul finire del 1908, un gruppo di consiglieri insistentemente chiese al sindaco Ettore de Jorio di mettere all’ordine del giorno l’adozione della rete elettrica, al fine di ammodernare l’illuminazione delle strade pubbliche, sino ad allora affidata ad inefficienti e dispendiosi lumi a petrolio.

Messo alle strette, il sindaco iscrisse a ruolo la questione, presentando però contemporaneamente le proprie dimissioni. Comunque, sia l’assessore anziano Giuseppe de Jorio che il gruppo di consiglieri a lui fedele disertarono la seduta consiliare, che si concluse con un nulla di fatto [6].

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Il primo mulino funzionante ad energia elettrica (1930)

Nelle elezioni tenutesi il 14 dicembre 1908 prevalse Giuseppe de Jorio, la cui amministrazione persistette in una strategia dilazionatoria, sicché fu possibile realizzare l’elettrificazione solo allorché mutarono gli uomini al governo del paese.

Rimase in attività il Mulinello fino al terzo decennio del XX secolo, allorquando fu impiantato nel centro abitato un mulino funzionante ad energia elettrica.

I più anziani ancora ricordano il suono gracido del corno diffondersi dalla sommità del Tuoppolo dell’Acquara per le campagne, sino al borgo, ad annunciare che il pozzo era colmo e si poteva dare inizio alla macina. Rappresentava, quel suono gutturale e prolungato, il rantolo rauco di un’epoca che soccombeva all’inesorabile avanzata della modernità.



 [1] Archivio di Stato di Avellino – Protocolli notarili, Distretto di Sant’Angelo dei Lombardi: Notai di Paternopoli – Fasc. 1882.

 [2] Placido Mario Tropeano: Codice Diplomatico Verginiano, Vol. I – Montevergine, 1979.

 [3] Archivio di Montevergine – Pergameno n. 175, vol. 115.

 [4] Archivio di Stato di Avellino – Protocolli notarili. Distretto di Sant’Angelo dei Lombardi: Notai di Paternopoli – Fasc. 1892.

 [5] Archivio di Stato di Avellino – Prefettura, Inventario 2 – Busta 631 – Fasc. 12432.

 [6] Quindicinale “Risveglio” del 18 febbraio 1909.

 

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