La torre aragonese

di Antonino Salerno

torre aragonese

Esibizione della "fanfara scolastica" ai piedi della torre (anno 1923 o 1924)

Il castello di Paterno sorse ad opera dei Normanni, nella seconda metà dell'XI secolo, sul sito occupato dalla fara longobarda. Fu, inizialmente, un edificio in pietra, aperto su un cortile cinto da mura, per ingrandirsi nel tempo sino a comprendere nella cinta muraria la chiesa, botteghe artigiane e civili abitazioni.
Feudatario di Paterno era Giacomo Caracciolo, VI conte di Avellino, quando ci fu la "rivolta dei Baroni" contro il re Ferdinando I, a cui egli aderì. Agli inizi del 1460, Giovanni d'Angiò, chiamato dai Baroni ribelli a cingere la corona del regno di Napoli, si portò in Puglia per muovere alla conquista della capitale. In dicembre era in Gesualdo, col consenso di Giacomo Caracciolo che ne deteneva, parimenti, il feudo. La guerra si protrasse con scaramucce di scarsa rilevanza fino alla fine di agosto del 1461, quando Alessandro Sforza, signore di Pesaro, venne in aiuto di Ferdinando I.
Lo Sforza si impadronì di Gesualdo e, agli inizi di dicembre, espugnò Paterno, di cui, il 5 dicembre 1461, così scrisse al duca di Milano: ce parse meglio de tuorlo integro che guasto, per averne commoditate de mettergli de la gente, et così gli è remasto messer Roberto che lui stesso l'ha domandato per stantia a lo Re, et la M. S. gli l'ha concesso .
La guerra si concluse nel 1464 con la definitiva sconfitta di Giovanni d'Angiò.
Fu la consapevolezza della vulnerabilità del borgo fortificato di Paterno che indusse il re Ferdinando I alla costruzione di un quartiere militare, integrato nella cinta muraria, che venne ad impegnare l'intera propaggine collinare ad est del borgo. La struttura comprendeva alloggiamenti, cucine, stalle, polveriera e finanche un pozzo, ed era sovrastata da una grossa torre cilindrica, di altezza non inferiore ai dieci metri, dotata di vani per l'installazione di bocche da fuoco. Così descrive, quest'ultima, il sacerdote Giuseppe De Rienzo, nell'anno 1829: Invero la torre è di una grande, ed alta mole, con fossati intorno, de' quali ancora si conoscono i vestigii. Essa si vede in piedi, ed intera eccetto alcuni guasti fattivi a gran stento da alcuni per approfittarsi delle pietre. ... Essendovi nella predetta torre delle bombardiere, come al presente anche si vedono, si può a buon conto con certezza asserire che essa non fu fabbricata che dopo l'invenzione della polvere da cannone .
Dopo il 1656, anno in cui infierì la peste, la struttura perse la sua funzione militare e l'ambiente seminterrato, sottostante la torre, venne ad essere utilizzato come luogo di detenzione, ruolo che assolse fino alla metà del 1700.
Privato della necessaria manutenzione, depredato delle pietre da impiegare nella costruzione di nuove abitazioni, iniziò il progressivo e rapido disfacimento del complesso difensivo che si presentava, nella metà del 1800, come un ammasso di macerie sormontato da un troncone di torre.
Nella seduta della Congregazione della Carità del 28 novembre 1868, il componente Achille de Renzi, nel far osservare che di contro all'Orfanotrofio Ciro Mattia esistono gli avanzi di una Torre semidiruta, che ricordano i tristi tempi del feudalismo e della barbarie, ne propose la demolizione. A tal fine, siccome l'antico manufatto e parte del terreno circostante erano di proprietà di Michele Roberti, il 16 aprile 1869, la Congregazione della Carità ne deliberò l'acquisto al prezzo di 150 lire.
Tuttavia, fu solo il 14 maggio 1879 che la Congregazione della Carità concesse l'appalto per la demolizione della torre, bloccato però dalla Giunta Provinciale Amministrativa che ne ritenne illegittime le modalità di concessione.
Determinata nel perseguire i propri intenti di risanamento dell'area, nella seduta del 15 ottobre 1880, su progetto dell'ingegnere del Genio Civile Tito Scorvina, per una spesa complessiva di lire 379,90, la Congregazione della Carità deliberò la demolizione della torre e lo spianamento del suolo su cui essa insisteva, per ricavarne dei giardini da assegnare al prospiciente orfanotrofio. L'incarico di eseguire i lavori fu affidato a Michele Volpe ma, risultando di proprietà del Comune parte del suolo da assoggettare a risanamento, si dovette soprassedere all'esecuzione dell'opera .
Richiesto di rivedere il proprio progetto, adattandolo agli spazi disponibili, l'ingegnere Scorvina ne dimostrò l'inutilità. Non restava che chiedere al Comune la cessione della parte di terreno demaniale interessata alla trasformazione a giardino da annettere all'orfanatrofio, cosa che la Congregazione fece nella seduta del 15 dicembre 1888: Considerando che il Comune anzicché ritrarre utile alcuno dalla terra in questione, ne soffre invece detrimento, sia per i miasmi delle immondizie ivi ammonticchiate, che danneggiano la pubblica salute, sia per la mancanza di decenza e di decoro a causa di coloro che vi vanno spudoratamente a scaricare le loro superfluità, sia ancora per il pericolo di agguati e di appostamenti, che per avventura potrebbero verificarsi ... all'unanimità di voti delibera farsi istanza al Municipio per la cessione del suolo .
La richiesta, però, rimase inascoltata. Il rifiuto dell'amministrazione municipale scaturiva dal diffuso sospetto, istillato nella popolazione da chi alla demolizione si opponeva, che la manovra celasse oscuri interessi.
Si dovette giungere al 14 marzo 1896, perché la Congregazione della Carità rinnovasse l'invito alla cessione del suolo demaniale, onde procedere rapidamente all'abbattimento della torre, e, il successivo 26 aprile, il sindaco, cedendo alle pressioni di amici, comunicò la dichiarata disponibilità del Consiglio, in cambio di un attestato di benemerenza a favore della cittadinanza di Paternopoli.
La gara di appalto per l'esecuzione dei lavori fu indetta il 16 gennaio 1897, ma andò deserta per l'inadeguatezza dei prezzi previsti dal progetto redatto nell'ormai lontano 7 ottobre 1880. Comunque, si dichiararono disponibili alla demolizione ed alla realizzazione dei giardini i muratori di Paternopoli Michele Izzo e Nunzio Battista, purché il costo preventivato fosse maggiorato di 500 lire e, a tali condizioni, il 14 maggio 1897, la Congregazione della Carità concesse loro l'appalto. Ma il 26 agosto successivo, la Giunta Provinciale Amministrativa sollevò obiezioni sulla legittimità dell'accordo, e la Congregazione della Carità, nella seduta del 28 settembre, pervenne alla decisione di far redigere dallo stesso ingegnere Tito Scorvina un nuovo ed aggiornato progetto, più consono alle mutate esigenze .
Sul finire dell'anno 1903, nonostante avesse effettuato due sopralluoghi, l'ingegnere Scorvina non aveva ancora predisposto il progetto commissionatogli, e la Congregazione della Carità, ora interessata, oltre che alla demolizione della torre, alla costruzione di un edificio scolastico, il 20 dicembre, ne affidò l'incarico all'ingegnere Carlo Zampari di Altavilla, invitandolo a contenere la previsione di spesa entro le 20.000 lire.
Il professionista non venne meno al proprio impegno e già il 31 dicembre 1904 la Congregazione della Carità potette trasmettere il carteggio al Prefetto della Provincia per l'acquisizione del parere favorevole del Genio Civile; ma, il 14 febbraio 1906, dal Sotto Prefetto del Circondario, pervenne la comunicazione che la Commissione Provinciale di Beneficenza non aveva concesso il proprio benestare, in quanto il reperimento di aule per le scuole pubbliche era di esclusiva competenza del comune.
Nell'impossibilità, quindi, di dotarsi di un proprio edificio scolastico, la Congregazione trovò conveniente ripiegare sul primitivo progetto redatto dall'ingegnere Scorvina e ne chiese all'ingegnere Sasso l'aggiornamento dei prezzi che furono quantificati in 6.380 lire.
La nuova pratica fu inoltrata alla Prefettura in data 26 agosto 1907 e, tardando l'atteso riscontro, il 5 dicembre la Congregazione dette l'incarico al proprio presidente Marrelli di recarsi in Avellino per esercitare le opportune sollecitazioni.
Il 17 novembre 1908, il Sotto Prefetto del Circondario comunicò che il Genio Civile aveva concesso il nulla osta per il risanamento dello spazio antistante l'orfanatrofio e, a tal fine, il 20 dicembre, fu iscritta, fra le spese straordinarie del bilancio di previsione dell'anno 1909 redatto dalla Congregazione, la somma di lire 5.000, quale acconto sul previsto costo complessivo .
Il dibattito intorno all'abbattimento della torre aveva assunto toni infocati. In tanti, per sensibilità o per mera contrapposizione politica, sostenendo che il rudere costituiva testimonianza di un autorevole passato, ponevano con ogni mezzo ostacoli alla sua demolizione. Di contro, i fautori della sua rimozione, pur essendo stata esclusivamente struttura militare, la indicavano come antica sede baronale, luogo di perversione e di soprusi, avanzo di un'epoca di barbarie. Si favoleggiava che fosse dimora dei fantasmi della baronessina Estrella e del servitore Ugo che, sorpresi dal barone mentre si apprestavano alla fuga per coronare il loro sogno d'amore, erano stati da esso trucidati; la si riteneva simbolo di un passato funesto che doveva essere cancellato per liberare la strada al progresso ed alla civiltà.
Il più accanito sostenitore dell'abbattimento della torre era Nicola Romanelli. Da poco acquistata, la sua abitazione apriva sul Larghetto della Torre , presso l'Orfanatrofio "Ciro Mattia" da cui era separata dall'angusta via San Francesco, a pochi passi dal massiccio troncone che incombeva sull'esiguo orto prospiciente la sua casa.
Il 14 dicembre 1908, in seguito alle dimissioni di Ettore de Jorio, il Consiglio Comunale elesse sindaco l'assessore anziano, suo zio, Giuseppe de Jorio. Uomo inetto, privo di qualità sia intellettuali che morali, era costui attento esclusivamente agli interessi propri ed a quelli dei suoi amici. Suo principale sostenitore era stato Nicola Romanelli che dal neosindaco si aspettava un'accelerazione alla soluzione dell'annoso problema della torre. Il quindicinale "Risveglio" del 18 febbraio 1909 così chiosava l'interessato connubio:


Chi lo ha visto il nuovo Sindaco
Tutto gonfio, tra lo sparo ...
Tra gli amici e il riso affabile
Di zi Cola lo Romano ,
Che marciava a lui dallato,
Come un vincitor soldato,
Che ritorna dal pugnar? ...


Nicola Romanelli non esitò a presentare al neosindaco il conto del suo sostegno, ricevendone assicurazioni di piena disponibilità. Tutti gli ostacoli burocratici sarebbero stati rimossi: la torre sarebbe stata demolita. Le ragioni della condanna inappellabile vennero poste in rilievo nel dialogo in chiave ironica fra Torre, Casa Romanelli ed Orfanatrofio, pubblicato sotto il titolo di "Favola" sul quindicinale "Risveglio" il 18 febbraio 1909:
Casa Romaniello – (con alterigia) Levamiti dinanzi, o diruta torre, o inutile ammasso di pietre, ricordo triste di barbarie senza nome, ricovero di gufi, civette e pipistrelli, distruggiti, io ho bisogno dei primi raggi solari, ho bisogno di luce e di calore, ho bisogno di vedere S. Angelo e Torella, e la cima del campanile di Villamaina.
Torre – Non tanta superbia, amica mia, perché questa volta ci troviamo d'accordo; anch'io dopo tanti secoli di vita, sono ormai stanca di restare muta spettatrice di tante lordure, ed ora più che mai, tremo al pensiero che potrei rimanere come tua vicina e assistere impassibile a nuove vergogne, che potrebbero essere meditate fra le tue cadenti mura.
Il Monastero sta ad origliare e tace.
Casa Romaniello – (ironica) Mia cara torre, questi tuoi detti non ti salvano, tu dovrai cadere, per allargare il mio orizzonte. Finché si trattava solamente del nostro comune vicino, il Monastero, ti fecero restare in piedi, perché, come sai, è sempre prudente precludere l'aria ed il sole ad una cella, e perché le Monache ti ripeto, devono contemplare il Cielo e non la Terra; ma i preti ed i borghesi no !!!
Monastero – (facendo capolino nella conversazione) Sì, sì, noi dovevamo e dobbiamo guardare il Cielo, ce lo ha consigliato pure il nostro padre spirituale! ...
Torre – Eppure ho avuto tante visite per lo passato, di certi signori che facevano i calcoli, che conoscevano le cifre, si son fatti tanti progetti e mai mi hanno diroccata. Ora ché tutto ad un tratto si son messi in testa di distruggermi? Nulla di nuovo è successo per quanto io mi sappia, nessuna novità è avvenuta nelle amministrazioni, come va dunque?
Monastero – (all'orecchio della Torre) Zitto! Tu non conosci il nuovo padrone dell'amica .
Torre – E che vuoi dire con ciò?
Monastero – Voglio dire che è stato lui a decretare la tua demolizione. Egli è vecchio ed ha bisogno di aria, in quella casa c'è troppa oscurità e quindi si ha bisogno di Luce, tu non capisci ...
Torre – Ma perché non l'hanno fatto prima? Se ciò fosse stato io ora non starei ancora qua a sorvegliare le tue ospiti gentili, né a registrare i continui attacchi nervosi di Ciccio, il carissimo amico !!!!!. Perché hanno fatto sorgere per lo passato tanti ostacoli? Perché fino ad oggi nessuno mi ha curato, né ho avuto una parola di conforto per me e di speranza?
Monastero – Perché, perché, perché .....
Casa Romaniello – (sull'aria di Fronne 'e limone)
Aniello ..... aniéeeeeee ....
statte a sentì nu poco sta canzone
Fronne 'e limone ....
tu cade, Torre, e ì cagno patrone,
Fronne 'e limone
pe na cantata 'e messa e nu rusario
chesto t'ha cumbinato 'o zì vavone .
Moralità
Vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandar.


SCARRAFONE
Nonostante l'autorevole appoggio politico di cui godeva il Romanelli, il problema costituito dallo smaltimento del copioso materiale di risulta costrinse, ancora una volta, a rinviare l'abbattimento della torre, dalla cui esecuzione, negli anni a seguire, distolsero l'attenzione il terremoto del 7 giugno 1910, che causò vittime e danni notevoli, ed il primo conflitto mondiale, che coinvolse l'Italia a partire dal 24 maggio 1915.
La torre fu demolita negli anni 1932 e 1933 trovando le pietre, che ne avevano costituito la struttura, impiego nell'edificazione, su un'area adiacente, dell'edificio destinato ad ospitare la scuola elementare. Ne rimane l'ambiente sottostante che, ristrutturato, è ora adibito a museo comunale.

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