Quest'anno ricorre il 35° anniversario del terremoto del 1980. All'epoca, io ero un adolescente ingenuo e spensierato. Stavo seguendo in TV un incontro della seria A di calcio in un bar del mio paese, quando si verificò una delle catastrofi che più si sono impresse nella memoria storica e nell'immaginario collettivo delle popolazioni locali. Oggi ci siamo in qualche misura ridotti a rimpiangere e idealizzare il tempo vissuto prima del maledetto 23 novembre 1980. Un giorno orribile che, per una sorta di strano ed automatico meccanismo di rimozione inconscia, si tende quasi a derubricare dal calendario. Ma per le popolazioni che subirono la furiosa e devastante forza tellurica della Natura (non senza una correità politica e morale ascrivibile agli esseri umani), è una data impregnata di ricordi strazianti, di risvolti psicologici ed emotivi che hanno segnato intere esistenze personali. Al terremoto seguì una fase di lunga emergenza e di ricostruzione, attraversata da scelte politiche controverse assunte dalle classi dirigenti locali e nazionali. Una data spartiacque, assai simbolica dal punto di vista antropologico. Nel corso degli anni è intervenuta una brusca e repentina accelerazione storica che ha visto deteriorarsi i rapporti interpersonali, con effetti di abbrutimento spirituale ed evidenti ripercussioni negative sul terreno dei comportamenti, dei gesti e dei sentimenti nella sfera esistenziale quotidiana. Si è innescato un fenomeno di imbarbarimento e regressione civile, una deriva che ha dannato le nostre comunità ad un destino di involuzione sociale. Tale effetto di brutalizzazione di massa ha investito pure il funzionamento della macchina amministrativa, avvinta da una spirale di faziosità, cinismo e spregiudicatezza morale che non si erano riscontrate in precedenti fasi storiche. Abbiamo assistito a faide e a rese dei conti tra bande rivali per contendersi il controllo degli affari e l'occupazione sistematica degli scranni istituzionali. Dal branco di lupi famelici sono emersi gli esemplari più feroci, che hanno sopraffatto gli altri grazie ai mezzi più disonesti. Tutto ciò alimenta sentimenti di rimpianto ed una spinta all'idealizzazione dei "bei tempi", delineando una visione immaginaria e idilliaca della vita "prima del terremoto". Non furono male gli anni immediatamente successivi, che videro uno straordinario moto di solidarietà e di partecipazione popolare ad iniziative politiche di autogestione e protagonismo di massa, tra comitati e coordinamenti vari. Per fornire un quadro integrale delle vicende post-sismiche e rivisitare lo sforzo di chi ha lottato con l'obiettivo di un avvenire migliore per le popolazioni irpine, ho pensato di mettere in luce i momenti e le esperienze più esaltanti sul terreno della solidarietà sociale e del protagonismo politico corale, dei desideri e delle istanze di cambiamento, dell’azione politica di numerose persone disinteressate, animate dall'ansia di riscattare la nostra terra martoriata. Tanto per iniziare, rammento le testimonianze di amicizia e fraternità, gli attestati di soccorso fornito dai cosiddetti “angeli del terremoto”, che diedero prova di un'eccezionale generosità, esprimendo un impegno corale che coinvolse migliaia di giovani provenienti da ogni angolo d'Italia e d'Europa, per portarci conforto morale ed assistenza materiale, per scavare e salvare i sopravvissuti sepolti sotto le macerie, per soccorrere i feriti e contribuire alla fase più immediata e dolorosa dell’emergenza post-sismica. Ricordo l'esperienza straordinaria dei “Comitati popolari”, che si costituirono nella fase che investì l’opera di assegnazione e gestione dei prefabbricati, partecipando anche ad altri importanti processi decisionali. Ricordo la vicenda di Radio Popolare Lioni, uno strumento di controinformazione proletaria già attivo nella fase antecedente al terremoto del 1980. Rammento le riunioni, le discussioni, i momenti di lotta e di attivo protagonismo vissuti grazie al “Coordinamento giovani Lioni”, un'indimenticabile occasione di crescita personale, intellettuale e politica, durante la quale ebbi modo di mettere a frutto la mia passione per la militanza e la scrittura, pubblicando nel 1982 (se non erro) il mio primo articolo su un giornalino autoprodotto da un gruppo di giovani lionesi che misero in pratica un bisogno di autonomia ed autorganizzazione politica e culturale. Ricordo le iniziative di critica e rottura culturale, a cui diede vita il C.R.A.C. (Centro Ricreativo di Aggregazione Culturale), che in un certo senso chiuse la fase progressiva di emancipazione, di lotta e di protagonismo politico di massa nella realtà di Lioni durante gli anni ’80, che segnarono l’emergenza post-sismica e l’avvio della ricostruzione. La ripresa dell'impegno politico avvenne verso la fine degli anni ’90, grazie all’avvento del “movimento no-global”, che coinvolse ed entusiasmò un'intera generazione di giovani (e meno giovani) in Irpinia. Ricordo che nelle manifestazioni che si svolsero nella prima metà degli anni ’80, a cui presero parte molti militanti irpini, uno degli slogan più urlati era: “Ai morti dell’Irpinia non basta il lutto: pagherete caro, pagherete tutto!”. Ebbene, le vicende successive hanno purtroppo dimostrato che a “pagare” sono sempre gli stessi: i più deboli, i reietti, i non privilegiati. Fu un periodo entusiasmante di risveglio civile e di abbraccio corale, che suscitò sincere aspettative di rinascita delle comunità locali. Speranze puntualmente disattese o tradite. Resta solo l'amaro in bocca per la cocente delusione storica, una sensazione dolente, una coscienza rabbiosa per l'irripetibile occasione storica fallita. Svanita nel "miraggio" di uno "sviluppo" incompiuto. Un'illusione ingannevole. Lo spreco di un'opportunità di riscatto economico e civile mancato dalle zone del "cratere". Occasioni sfruttate solo da pochi arrivisti ed opportunisti. La "rivoluzione proletaria" del clan familiare si è compiuta allorquando questo ha conseguito il pieno controllo del "palazzo d'inverno" (cioè il Municipio). Da quel momento, la "cricca" degli ex rivoluzionari (e ciarlatani) ha messo definitivamente "le mani sulla città", ponendo le sue grinfie rapaci su tutto, e non ha più mollato la presa, esibendo una famelica e vorace avidità di potere che non si era vista nemmeno ai tempi della peggiore Democrazia Cristiana.
Lucio Garofalo