L’avvento improvviso e quasi “messianico” di un personaggio “politicamente corretto” quale Barack Obama e la sua elezione alla White House (che forse sarebbe più giusto ribattezzare Black House) costituiscono senza dubbio l’altra faccia della stessa medaglia. Mi riferisco alla medaglia dell’establishment industriale, finanziario e militare statunitense. Un sistema di dominio economico-militare che, con la famiglia Bush negli ultimi anni e, ancor prima, dall’inizio degli anni ’80 con Ronald Reagan (e la Tatcher in Gran Bretagna), ha offerto al mondo l’aspetto più atroce e spaventoso, vale a dire il volto del neoliberismo più affarista, cinico e spregiudicato, del conservatorismo più oltranzista, retrivo e reazionario, dell’ingerenza imperialista e bellicista, dell’offensiva unilateralista e neocolonialista. Insomma, ha mostrato la parte più oscura e perversa, criminale e spietata, della strategia politica nordamericana, che ha reso gli USA una superpotenza assai invisa e sgradita agli occhi di mezzo mondo.
Invece, il viso “bello e abbronzato” di Obama rappresenta la versione soft, amabile e giovanile, il simbolo buono ed onesto, simpatico e gentile, democratico e progressista, pragmatico e positivo, degli Stati Uniti e del capitalismo made in USA. Un capitalismo che ha semplicemente rinnovato il proprio look esteriore mediante una riuscitissima operazione di lifting, il cui felice risultato viene quotidianamente esaltato e pubblicizzato da una potentissima ed efficientissima cassa di risonanza mediatica planetaria. Ma si tratta pur sempre del medesimo apparato di potere economico-imperialista che si è imposto a livello globale nell’ultimo secolo e oggi decide di esibire al mondo il suo lato eticamente, politicamente ed esteticamente più accettabile e gradito: si chiama ”effetto Obama”.
Dunque, chi è Barack Obama se non l’altra faccia dell’egemonia e della supremazia imperiale nordamericana? Consegno ai posteri la (non) ardua sentenza.
Lucio Garofalo