Anche l’ultimo vertice europeo, quello in cui il “premier a tempo perso” è stato sottoposto ad una sorta di “esame di riparazione”, ha ribadito esplicitamente le ricette di austerità economica a senso unico, calate dall’alto dalla Banca Centrale Europea.
In altri termini, i summit non fanno che confermare e rafforzare i timori della “vigilia”, cioè l’idea che a pagare la crisi saranno sempre e solo coloro che non l’hanno provocata.
Si tratta di un’impostazione violenta e ricattatoria, che si traduce in una serie di provvedimenti draconiani prescritti in modo verticistico e coercitivo, ad esclusivo interesse del sistema bancario e finanziario europeo. La linea sposata dalla BCE, accolta in modo supino e subalterno dai governi europei, non è affatto risolutiva dei problemi che stanno per esplodere. Al contrario, è una visione autoritaria che rischia di peggiorare ulteriormente gli sviluppi drammatici e depressivi della crisi in atto, che potrebbe degenerare in una spaventosa recessione. Le cui conseguenze si abbatteranno ciecamente su chi finora ha scontato la gravità della situazione, vale a dire i lavoratori del sistema produttivo, i pensionati, i giovani (e meno giovani) precari, i ceti “medi”.
Una “soluzione” che non risolve nulla, anzi aggrava il problema che dice di voler debellare, è come una terapia errata che rischia di essere peggiore del male stesso. Le direttive imposte dalla BCE, a cui soggiacciono passivamente i capi di Stato europei, sono inaccettabili nella misura in cui esautorano, o comprimono drasticamente, la sovranità politica da cui discende l’autorità dei singoli governi e Parlamenti nazionali, ma sono soprattutto una spada di Damocle, una clava usata contro la civiltà dei popoli europei, per annichilire definitivamente i diritti democratici e le tutele sociali conquistate con grande spirito di sacrificio e con tenacia dalle generazioni precedenti.
Parimenti il cosiddetto “fondo salva-Stati” si iscrive in una logica ultraliberista e tecnocratica, muovendosi in una direzione a dir poco illegittima e controversa, che travalica i confini di ogni ragionevole buon senso. E’ una piattaforma economica di fatto criminale, nella misura in cui è propensa a varare e autorizzare una serie di manovre estremamente ingiuste e dolorose per chi versa già in condizioni di grave sofferenza.
Mentre si decide di salvare e consolidare i capitali delle banche, nel contempo si invocano e si prospettano misure impopolari tese ad inasprire le condizioni di vita dei lavoratori, facilitando la libertà di licenziare, che in tempi di crisi economica equivale ad una sorta di “licenza di uccidere”, imponendo aumenti brutali dell’età pensionabile, aggravando il livello già insopportabile di liberalizzazione (cioè precarizzazione) del mercato del lavoro, aggiungendo altri oneri e sacrifici alle fasce più deboli della società.
A tale riguardo i sindacati dei lavoratori sono già sul piede di guerra, e non poteva essere altrimenti. Per tali prese di posizione sono tacciati d’essere “antiquati” e “ottocenteschi”, ma è il capitale ad attestarsi su schemi o atteggiamenti da vecchi padroni delle ferriere. Il capitalismo è ancora l’unica forza materiale che nell’epoca contemporanea persevera nella lotta di classe, nella misura in cui prosegue con ottusa ostinazione ad applicare nella pratica i principi “ottocenteschi” della lotta di classe, conducendo una spietata guerra globale contro il mondo del lavoro produttivo e sociale.
Bisogna smascherare e denunciare la vera violenza, che è quella del capitalismo, un raffinato meccanismo di oppressione e di sfruttamento votato al collasso generale dell’economia, della società e della cultura. Un sistema di potere che, agitando lo spauracchio della crisi, intende costringere la gente, i lavoratori che stentano ad affrontare le difficoltà quotidiane, a rinchiudersi in uno stato di paura e rassegnazione.
Di fronte alla minaccia di una recessione non si può essere settari o succubi verso una fazione, in un teatrino schiacciato sul dualismo tra berlusconiani e antiberlusconiani. Occorre sottrarsi al ricatto imposto negli ultimi anni da una falsa dialettica democratica, ormai logora, che ha avvelenato il clima politico in Italia. Una pseudo contrapposizione che ha appiattito il livello del dibattito politico e culturale, alterando la percezione della realtà e delle sue priorità vere. Non è un caso che su temi di importanza cruciale per i centri del potere, si registri spesso e volentieri una sorta di complicità, una coincidenza di intenti tra “destra berlusconiana” e finta “sinistra antiberlusconiana”.
Si sa che il diavolo si annida sempre nei dettagli. Infatti, è da notare come su alcune questioni si formino ampie convergenze di posizione all’interno del Parlamento. Ad esempio, merita di essere letta e sottolineata questa “diabolica” concordanza tra “destra” e “sinistra”, nella fattispecie tra Berlusconi e Ichino, esponente del PD: “E se ora - ha scritto Berlusconi sul Foglio di Ferrara - il governo si propone di intervenire sui contratti di lavoro, seguendo la strada indicata dal disegno di legge presentato dal senatore dell’opposizione Pietro Ichino, è solo per aumentare la competitività del Paese, aprire nuovi spazi occupazionali per le donne e per i giovani, e garantire a chi perde il lavoro l’aiuto della cassa integrazione per trovare una nuova occupazione”.
Occorre demistificare i falsi stereotipi e i luoghi comuni che circolano in quanto diffusi dai media ufficiali che contribuiscono ad alimentare una propaganda ideologica capziosa e strumentale. Il fulcro che sta all’origine della crisi economica, che è sistemica e di portata globale, non è costituito dai licenziamenti più o meno facili, tantomeno dalla normativa vigente che regola i rapporti di lavoro, ma consiste nel fatto che, tanto per citare un esempio concreto, i magazzini sono pieni di merci invendute, dunque risiede nel crollo dei consumi di massa e nella sovrapproduzione accumulatasi negli ultimi anni.
Una politica economica ottusa e avventata, che comporta un ulteriore indebolimento dei redditi da lavoro, è inevitabilmente destinata a provocare un calo verticale dei consumi, innescando un circolo vizioso che rischia di alimentare e procrastinare la recessione.
I processi storici sono difficilmente reversibili. Dalla crisi in atto non è possibile uscire con soluzioni adottate all’interno del quadro capitalistico. Finora il capitalismo è caduto in crisi per causa propria, ma inizia ad affacciarsi tra la gente (non solo tra gli Indignati) l’ipotesi che esso possa non essere l’unico modo per organizzare i rapporti economici e sociali e possa esistere un’alternativa storica credibile e praticabile, oltre che urgente.
Lucio Garofalo