Chiarisco subito un punto: il nuovo attentato terroristico che in Pakistan ha provocato una strage uccidendo anche l'ex premier Benazir Bhutto, rappresenta un orrendo crimine commesso contro la parte più umile e indifesa del genere umano. Voglio urlare con forza il mio sdegno morale contro atti raccapriccianti che rivelano soltanto un'efferatezza assassina e non sono certo utili alla causa degli oppressi e dei diseredati del pianeta. Caso mai dietro simili azioni si possono celare gli interessi affaristici e criminali di qualche oscuro centro di potere sovranazionale. Ma ragioniamo brevemente su alcune reazioni e dichiarazioni immediate.
Il governo pakistano ha accusato al Qaeda dell'omicidio di Benazir Bhutto, ma un autorevole militante del gruppo terrorista smentisce e declina ogni responsabilità. A questo proposito il leader talebano Baitullah Mehsud, ritenuto il luogotenente di al Qaeda in Pakistan e accusato dal governo pakistano di essere la mente dell'attentato che ha ucciso Benazir Bhutto, nega ogni coinvolgimento nella morte dell'ex premier. Lo riferisce un suo portavoce: «Lo nego fermamente. Il popolo tribale ha i suoi costumi, noi non attacchiamo le donne», ha affermato il portavoce di Mehsud, Maulvi Omar, in una conversazione telefonica.
Anche il partito della Bhutto, il Ppp, ha dichiarato di non credere alla versione ufficiale ed ha aggiunto che l'amministrazione del presidente Pervez Musharraf sta cercando di insabbiare il proprio fallimento nel sostenerla. Inoltre, uno stretto collaboratore dell'ex premier ha definito "ridicola" la tesi del governo secondo cui Benazir Bhutto avrebbe urtato violentemente la testa durante l'attacco suicida. Sherry Rehman, portavoce del partito di Bhutto, ha affermato che la donna è stata raggiunta da un colpo alla testa, sparato molto probabilmente da un cecchino. Ebbene, non risulta che al Qaeda abbia mai adottato simili tecniche omicide, che invece sono tipiche dei servizi segreti. In questo caso, mi riferisco ai servizi segreti pakistani.
Comunque, per comprendere simili fenomeni non servono tanto indagini dietrologiche e complottiste, quanto soprattutto una valutazione il più possibile lucida ed obiettiva dei fatti e delle conseguenze.
Occorre chiedersi: cui prodest, a chi giova tutto ciò? A chi giovano queste azioni criminali e stragiste che, per la loro tipologia, mirano a colpire in modo brutale e indiscriminato le masse, e non solo bersagli ben individuati come, in questo caso, Benazir Bhutto?
Uno degli effetti più evidenti è stato quello di stravolgere l'agenda politica internazionale, ponendo e rilanciando al primo punto il tema della sicurezza e della "guerra al terrorismo", così da ridare fiato alla strategia ormai indebolita e screditata della "guerra preventiva" (o "guerra globale permanente") voluta ed imposta negli ultimi anni dall'amministrazione statunitense. Una strategia che attraversa una grave crisi di consensi a livello internazionale, e spera in una ripresa e in un recupero di immagine e di risorse finanziarie. La priorità più urgente della politica mondiale torna ad essere la cosiddetta "emergenza terrorismo", a cui vengono subordinate e sacrificate tutte le altre questioni internazionali.
Tutto il resto non conta più. Conta solo la questione della sicurezza, ossia la sicurezza dell'occidente, rispetto alle insidie provenienti dal terrorismo globale. Questa "emergenza" viene ora nuovamente anteposta sia alla tragedia della povertà estrema e del debito economico che affligge le popolazioni dell'Africa e del Terzo mondo in generale, sia ai pericoli derivanti dai mutamenti climatici ed ambientali terrestri. Tutto ciò è passato rapidamente in secondo piano: questo è un primo dato di fatto assolutamente innegabile.
In tal senso, un'altra conseguenza degna di rilievo è stata l'intensificazione delle misure di sicurezza applicate nel mondo, soprattutto nelle metropoli occidentali. La circostanza che deriva da tale "permanente minaccia terroristica" è una drastica riduzione delle libertà individuali, che vengono sacrificate sull'altare della "sicurezza generale". Rinunciare alla libertà per ottenere in cambio più sicurezza: questo è lo slogan adottato in diversi ambienti politici internazionali.
Un altro effetto è riconoscibile in un processo di isolamento e di emarginazione che ha coinvolto il movimento pacifista internazionale, al fine di indebolire e affossare ulteriormente le istanze e le lotte anticapitaliste condotte negli ultimi anni attraverso manifestazioni, iniziative e incontri globali, tra cui vari "summit alternativi" in funzione anti-G8, in cui i protagonisti non sono più otto individui che si arrogano il diritto di decidere il destino dell'intera umanità, bensì centinaia di migliaia di persone, attivisti, esperti, studiosi e semplici cittadini, che si mobilitano e si risolvono a partecipare concretamente ad un convegno, ad un'assemblea, ad una manifestazione, per dare voce a sé e a chi non riesce a far sentire la propria.
Uno degli obiettivi perseguiti da questa strategia internazionale del terrore, sembra essere proprio quello di intimidire e indebolire il cosiddetto "movimento dei movimenti" che contesta il G8 e l'attuale modello di globalizzazione economico-liberista e gli contrappone un modello antitetico di discussione e decisione collegiale, di organizzazione dei rapporti politici a partire dal basso, ossia dai bisogni concreti della gente, attraverso forme di democrazia diretta e partecipativa, rifiutando la logica autoritaria e verticistica del summit, per optare a favore di una costruzione orizzontale, aperta e diffusa della prassi politica.
Un altro importante motivo di riflessione riguarda il quadro politico mediorientale. Mi spiego.
L'attentato stragista in Pakistan sembra aver ridestato bruscamente l'opinione pubblica internazionale dallo stato di torpore e indifferenza generato da una sorta di assuefazione alle immagini di guerra, orrore e morte, provenienti tutti i giorni dall'Iraq e dallo scenario mediorientale. E' evidente ormai che, quando simili vicende terroristiche insanguinano New York, Madrid o Londra, anziché Kabul, Baghdad o i palestinesi, la comunità occidentale sembra reagire in modo viscerale, in preda agli effetti scioccanti della paura.
Pertanto, chi decide di diffondere il panico e l'angoscia per favorire il propagarsi di umori irrazionali, fa il gioco dei terroristi.
In sostanza, il terrorismo giova anzitutto a chi, prendendo a pretesto il sentimento di inquietudine e insicurezza diffuso nella popolazione, ne approfitta per invocare svolte politiche in senso autoritario e liberticida all'interno degli stessi Stati occidentali.
Parimenti, di fronte alla spietata recrudescenza del terrorismo si sollecita una risposta altrettanto cruenta, ossia un'escalation militare nordamericana nell'area del Golfo Persico, nella misura in cui le armi continuano ad essere lo strumento privilegiato di una strategia neocoloniale condotta su scala globale. In tale scenario si inquadrano e si spiegano le tragiche vicende degli ultimi anni, dalla orribile strage dell'11 settembre 2001 ai conflitti bellici in Afghanistan e in Iraq, trasformati in teatri di guerriglia permanente.
Se non si fuoriesce da questa perversa e pericolosa deriva neoimperialista e guerrafondaia, difficilmente si potrà sperare in un avvenire di pace autentica, che è una condizione assolutamente incompatibile con l'ingiustizia, specie se cronica e duratura, nella misura in cui il superamento delle tensioni internazionali presuppone l'eliminazione delle loro cause storiche, tra le quali emergono con prepotenza le pesanti ingiustizie materiali che opprimono soprattutto le popolazioni affamate dell'Africa e del Terzo mondo. Ingiustizie terribili e indicibili che stanno segnando il triste destino del Sud del mondo, cioè di miliardi di esseri umani.
Lucio Garofalo