Riflessioni satiriche sulla campagna per le elezioni amministrative di Lioni
Chiarisco subito che il presente articolo è a sfondo eroicomico e satirico, e come tale va letto. Un antico adagio recita “la realtà supera la fantasia” e a volte la realtà supera persino la satira. La saggezza popolare ci assiste soprattutto in campagna elettorale. Aggiungo che non conviene ridurre o semplificare troppo la realtà, come non conviene complicare troppo le vicende politiche poiché si rischia di sortire “effetti collaterali” indesiderati e controproducenti, mentre è preziosa l’efficacia comunicativa della satira.
Fatte queste considerazioni preliminari, introduco l’argomento centrale. Diversi anni fa, parafrasando una celebre asserzione di Lenin sull’estremismo come “malattia infantile del comunismo”, ebbi modo di intuire che “il demitismo è la malattia senile di un certo tipo di marxismo”. Alla luce degli sviluppi che mostrano un quadro di involuzioni e serpentine, fughe e transumanze, indugi e tatticismi, acrobazie ed equilibrismi politici che si sono intensificati a livello nazionale e locale, mi pare di dover aggiornare opportunamente la battuta nel seguente modo: “il demitismo senza De Mita è la malattia senile di un certo tipo di ex marxismo”. Per la serie “Sic transit gloria mundi”.
A proposito di De Mita e di demitismo non si può non ricordare il piano di finta industrializzazione imposto negli anni della ricostruzione post-sismica, che ha causato effetti rovinosi per l'ambiente e l'economia locale. In Irpinia, nel corso degli anni ‘80 fu importato un modello di sviluppo assurdo e fittizio, calato da una realtà che non ci appartiene, per cui si è rivelato dannoso e fallimentare. E non poteva essere altrimenti. Per inciso, ricordo che il contesto era quello delle zone interne di montagna. Ricordo le tante ”cattedrali nel deserto” come l’ESI SUD, la IATO e altre industrie fallite, i cui dirigenti, in gran parte provenienti dal Nord Italia, hanno installato i loro impianti nelle nostre zone sfruttando i cospicui finanziamenti statali previsti dalla Legge 219 del 1981, varata per l’industrializzazione e la ricostruzione delle aree terremotate. Quel disegno di “sviluppo” si basava su una strategia che era miope e fallimentare sin dall’inizio, nella misura in cui non teneva affatto conto delle reali esigenze del mercato locale, ma soprattutto non teneva conto della storia e delle peculiarità tipiche del nostro territorio.
Riprendendo il discorso iniziale occorre notare come in questo turno elettorale, a contendersi la carica di sindaco del Comune di Lioni siano due figure tra loro diverse, ma speculari, della politica locale: l'uno si proclama dicentro-sinistra, l'altro fa riferimento ad una “lista civica” che è il travestimento di una coalizione chiaramente dicentro o di centro-destra, o viceversa. Non voglio affermare in modo qualunquistico che le posizioni siano intercambiabili, ma non nascondo una certa tentazione a farlo. Probabilmente la differenza tra i due candidati, per certi versi casuale o contingente, è la seguente: l'uno è un ex marxista, ex demoproletario, ex craxiano, ex demitiano, ex anti demitiano, l'altro è una sorta di outsider, la cui candidatura a sindaco è emersa all’ultimo minuto, come impone ormai la tradizione lionese, ma non è esattamente un neofita, bensì uno degli esponenti relativamente più giovani della “vecchia guardia” socialista, che a Lioni ha sempre avuto una presenza politica di rilevo, quindi anch’egli è, a suo modo, un ex.
Nella precedente campagna elettorale il professore ex demoproletario, ex craxiano, ex demitiano, ricevette l’investitura direttamente dall'alto del Monte ed è stato per un certo periodo il referente ufficiale di De Mita sul territorio comunale, oggi è il candidato alla poltrona di sindaco di una coalizione di centro-sinistra che orbita nel campo di attrazione gravitazionale del PD con una formazione di gregari che ruotano alla stregua di vari satelliti attorno all’”astro” della politica lionese. E' innegabile che tale ”squadra” sia fortemente imperniata sulla figura centrale del “capitano” ed è altrettanto evidente che risenta di un'egemonia personalistica esercitata dal suo“narcisismo intellettuale”. L'altro candidato alla poltrona di sindaco è, ripeto, un “outsider” che ha ricevuto l’investitura dall’alto, benché la decisione sia stata accettata anche dal basso, ma non è accreditato come il più autorevole fra gli esponenti politici lionesi, cioè un demitiano a denominazione d’origine controllata come altri (medici e non) rivendicano di esserlo. In ogni caso non si tratta di un novizio o un neofita sprovveduto, ed ha alle spalle un gruppo agguerrito di “vecchie volpi” della politica locale. A questo punto la situazione relativa alla campagna elettorale per le amministrative lionesi, è ufficiale e definitiva.
Dunque, mi pare che dietro il dualismo insito nell’accesa disputa elettorale si possa afferrare l’inesauribile volontà di conservazione del potere da parte di chi per decenni ha tratto vantaggi dai contrasti interni agli schieramenti politici, a Lioni come altrove, cioè l’Uomo del monte. Questa strategia si riassume così: ”divide et impera”. Trattando seriamente il tema, una cosa è certa: a Lioni dobbiamo rassegnarci all'assenza di un’autentica forza di alternativa al sistema di potere vigente. A Lioni manca da tempo un’opposizione seria, per cui si registra un disavanzo di democrazia, di trasparenza e vigilanza sociale che rischia di favorire l’arbitrio di chi detiene le redini della Pubblica Amministrazione. Al di là dei singoli episodi l’analisi della situazione locale si può sintetizzare nel modo seguente: la differenza tra il contesto odierno e il passato consiste nell’assenza di un soggetto di opposizione sociale e politica. Oggi il dissenso non riesce a manifestarsi e stenta a tradursi in una alternativa credibile, in un progetto di trasformazione concreta dell’assetto politico e sociale lionese. Aggiungo che la mancanza di diritti e tutele a beneficio di chi non dispone di solide amicizie politiche, non riguarda solo la realtà di Lioni. Anche in tempi passati, a Lioni come altrove, se una persona non poteva affidarsi al ”santo in paradiso”, in quanto non aveva agganci con il notabile di turno che deteneva l’esercizio del potere, non contava assolutamente nulla.
Per quanto attiene all'orientamento da seguire rispetto alle circostanze date, non ci sono dubbi: o si accettano abusi e prepotenze, adeguandosi all'andazzo generale e comportandosi in modo vile e conformista, o si inizia ad agire in termini incisivi, provando ad organizzare pratiche di lotta e resistenza civile con tutti quelli che si dichiarano propensi ad un’azione antagonista e ad una mobilitazione collettiva per contrastare l’arbitrio vigente. Sono da evitare le iniziative isolate per non rischiare di subire la classica fine di Don Chisciotte che pretendeva di battersi contro i mulini a vento. In particolare mi rivolgo alle generazioni che in passato hanno subito il ricatto clientelare, la logica per la quale è inevitabile piegarsi alle richieste di voto del candidato di turno per ottenere un posto di lavoro o altri favori elargiti secondo metodi dispotici e feudali applicati tuttora per tenere sotto controllo le popolazioni locali. Non c’è dubbio che tale logica ricattatoria sia accettata anche da chi coltiva aspirazioni politiche (del resto legittime) come la riconferma elettorale dell’incarico di sindaco. In politica chi è realmente democratico non si giudica nei momenti di consenso, ma nei momenti di dissenso. E' facile proclamarsi“democratici” senza sostenere alcun contraddittorio, circondandosi di falsi adulatori che non sanno svolgere un ruolo critico. Il modo in cui si affronta la contestazione è la prova del nove per un vero democratico.
Potrei soffermarmi sulla portata storica e culturale del demitismo e sulle responsabilità del sistema politico rispetto al mancato sviluppo economico delle nostre zone, rispetto al miraggio dell'industrializzazione, rispetto alla disoccupazione diffusa tra i giovani, costretti ad una nuova emigrazione, rispetto allo spopolamento e al degrado delle nostre comunità. Certo, non tutti i mali sono imputabili al signore di Nusco, tuttavia esistono verità che nessuno può smentire se non in mala fede. De Mita è stato il massimo vertice istituzionale di una classe dirigente locale e nazionale che ha dominato la fase della ricostruzione post-sismica, la cui gestione è stata quantomeno discutibile nei metodi e nei fini. De Mita è tuttora in auge ed ha perpetuato il suo potere a livello locale. In Irpinia, il vero problema non è tanto la destra berlusconiana, quanto il centro demitiano. Si pensi ai guasti arrecati da un sistema imperniato sul cinismo di logiche affaristiche, clientelari e paternalistiche riconducibili alla ”scuola” di Nusco, che ha istruito diversi allievi che hanno superato il loro maestro. Senza fare nomi, questi epigoni, veri campioni del demitismo senza De Mita, sono presenti in modo trasversale.
Il potere fa leva su un atavico senso di ”fatalismo” che è il peggior nemico della gente in quanto è indotta a pensare che tutto sia deciso da un destino superiore. In materia di fatalismo e di apatia politica ricordo che Brecht scriveva che l'analfabeta politico "non sa che il costo della vita, (…) dell'affitto, delle scarpe e delle medicine dipendono dalle decisioni politiche. L'analfabeta politico è talmente asino che si inorgoglisce, petto in fuori, nel dire che odia la politica. Non sa, l'imbecille, che dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta, il minore abbandonato, il rapinatore e il peggiore di tutti i banditi, che è il politico disonesto, leccapiedi delle imprese nazionali e multinazionali”. In buona sostanza, se ce ne freghiamo della politica, questa ci frega. Insistendo sul tema, concordo con Gaber sull’idea di libertà come partecipazione politica. Io stesso propugno la massima espressione di democrazia partecipativa, ma ho sempre incontrato enormi difficoltà a praticare questo ideale nell’ambiente in cui vivo. Aggiungo che molto dipende dalle forme e dalle occasioni di partecipazione messe a disposizione dal quadro oggettivo e dalle azioni soggettive possibili. Occorre prendere atto che la realtà politica e sociale di Lioni è oggi profondamente mutata. Non esistono solidi punti di riferimento politico, per cui ognuno partecipa nel modo più compatibile con le condizioni oggettive, con la propria volontà e le potenzialità intellettuali, insomma nel modo più consono alle proprie attitudini individuali, in base alle variabili presenti nel tempo e nello spazio.
Il sottoscritto, ad esempio, partecipa ricorrendo alla parola scritta poiché è l'unica arma di cui dispone. Ma non sempre la parola riesce ad essere “vendicativa”, mordendo il sistema dove è più vulnerabile, denunciando e deridendo la meschinità del potere. La satira è l’arma più efficace per sferzare il potere, metterlo alla berlina denudando i suoi vizi, i suoi limiti e le sue contraddizioni, ridicolizzando la sua superbia. La satira è anche un modo appassionato e partigiano di interpretare la politica e la vita. Più la satira è beffarda e caustica più diventa efficace per combattere e mettere alla gogna il potere. Quanto più il potere si mostra arrogante e volgare, tanto più risulta ridicolo grazie alla forza corrosiva della satira. La satira è diretta e dissacratoria, perciò si addice nel caso in cui bisogna mettere alla berlina l’ideologia più perversa e volgare, quella del denaro.
Chiudo con una provocazione finale. Affarismo, assistenzialismo, clientelismo, parassitismo, sono l'essenza di un sistema politico criminogeno che incoraggia comportamenti disonesti, seminando il germe dell'illegalità. Esempi di questo potere sono il berlusconismo e il demitismo. L'aspetto più inquietante è che tali sistemi possono esistere indipendentemente dai loro iniziatori, sopravvivendo grazie a discepoli in grado di scalzare i “maestri”. Francamente temo molto di più il demitismo senza De Mita.
Lucio Garofalo