Come ogni anno il giorno dell’8 marzo si ripete stancamente la festa della donna, che ripropone liturgie e modalità rituali e gestuali di segno edonistico commerciale, frutto di un processo di svuotamento, di rimozione o travisamento del valore più autentico dell’idea originaria, del senso più antico e profondo di una festa laica come l’8 marzo. Il valore storico di una ricorrenza, laica o religiosa che sia, se non è stato definitivamente azzerato o frainteso, rappresenta semplicemente la cornice esteriore, banalizzata e volgarizzata, mentre ciò che conta è il primato della merce, la prassi standardizzata che annienta e svilisce ogni capacità di giudizio critico, alienando l’esistenza delle persone.
Nella società consumista tali ricorrenze, siano esse di origine religiosa come il Natale, di chiara provenienza pagana come il Martedì grasso, o di matrice politica come il 25 aprile e il 1° maggio, costituiscono una serie interminabile di consuetudini esclusivamente commerciali, prive di ogni valore se non quello effimero e pletorico riferito alla più stolta e volgare mercificazione e all’estrazione del plusvalore privato. Si tratta di una sequenza monotona e reiterata di cerimonie ridotte a gesti ripetitivi, consunti e abitudinari che sanciscono la supremazia del mercato e della logica del profitto, l’affermazione del cretinismo di massa, rituali che si ripetono con l’acquisto di regali, la consumazione del pranzo o del cenone, l’alienazione del ballo e dello sballo. E’ il trionfo del conformismo di massa, dell’intorpidimento delle coscienze all’insegna della sfrenatezza e della frivolezza assoluta, nell’esaltazione del disimpegno e del riflusso nella sfera egoistica, in una dimensione futile e meschina dell’individualismo borghese.
Soffermiamoci a riflettere sul significato, ormai rimosso, dell’8 marzo. Mi riferisco al senso politico e sociale che diede luogo a tale manifestazione, non a caso introdotta nell’habitat socialista, sul terreno delle lotte e delle istanze del movimento operaio internazionale grazie ad un’idea di Rosa Luxemburg e Clara Zetkin, due donne di grande pensiero e personalità che furono militanti comuniste del proletariato rivoluzionario.
Non è superflua una breve ricostruzione storica della “Giornata internazionale della donna” per cogliere il simbolo originario che nel tempo è stato smarrito o derubricato.
Durante il VII Congresso della Seconda Internazionale nel 1907, a cui parteciparono delegati provenienti da varie nazioni, tra cui i massimi dirigenti socialisti dell’epoca come Rosa Luxemburg e Lenin, si discusse anche della rivendicazione del suffragio universale esteso alle donne. Su questo tema il Congresso votò una mozione in cui i partiti socialisti si impegnavano per l’applicazione del suffragio universale femminile. La prima“Giornata della donna” fu celebrata ufficialmente negli Stati Uniti il 28 febbraio 1909, mentre in alcuni paesi europei si tenne per la prima volta il 19 marzo 1911 su indicazione di Clara Zetkin. Le manifestazioni furono interrotte dallo scoppio della Prima guerra mondiale finché l’8 marzo 1917 nella capitale russa le donne guidarono un’imponente manifestazione per chiedere la fine del conflitto. In tal modo l’8 marzo del 1917 sancì l’inizio della Rivoluzione bolscevica in Russia. Per stabilire un giorno comune a tutte le nazioni, nel 1921 la Conferenza internazionale delle donne comuniste decise che l’8 marzo si celebrasse la “Giornata internazionale dell'operaia”. Tenendo presente le ragioni e gli avvenimenti che ispirarono l’istituzione di questa giornata di lotta, occorre rilanciare con forza l’idea che l’emancipazione femminile sarà universalmente possibile ed attuabile solo in una società completamente affrancata dal bisogno e dallo sfruttamento materiale dell’uomo (e quindi della donna), vale a dire in una società di liberi e uguali, in un sistema che sia effettivamente libero e comunista.
La festa della donna, così come venne concepita cent’anni fa, è oggi completamente pleonastica e priva di senso, ridotta ad un cerimoniale vuoto, è la conferma inequivocabile del trionfo del Moloch capitalista, l’esaltazione della religione mercantilista e delle sue liturgie sociali, l’estasi del dio denaro e del feticismo della merce, un culto massificato che celebra l’apoteosi dell’edonismo più arido e dissennato.
Il capitalismo è ancora nella condizione di esercitare un potere ideologico e mentale in grado di assorbire e neutralizzare ogni istanza di cambiamento, ogni desiderio di rivolta, annichilendo l’idea più audace e sovversiva, vanificando il movimento più rivoluzionario.
Insomma, il sistema consumista di massa incarna oggi il vero totalitarismo fascista, un mostro onnivoro in grado di divorare tutto, come scriveva“profeticamente” Pasolini.