La voce del padrone

Come volevasi dimostrare. Alla prima verifica parlamentare i finiani sono rientrati puntualmente nei ranghi, come era prevedibile. Dopo aver abbaiato nel periodo estivo, muovendo accuse (senza dubbio giuste) contro Berlusconi, criticando apertamente il suo modo di intendere la politica e i rapporti di governo, gestiti alla stregua di un’azienda, è bastata la minaccia di elezioni anticipate, pronunciata dalla voce del padrone, per metter loro la museruola. L’asprezza degli attacchi sferrati dai finiani (cito su tutti il più agguerrito, Fabio Granata) faceva immaginare chissà cosa, invece la polemica si è spenta alla prima prova dei fatti, dimostrando che si trattava di chiacchiere fumose.

Pareva che l’antipatia verso Berlusconi e il suo strapotere politico-economico fosse diventato un sentimento diffuso anche in settori della destra, ma ogni veleno si è dissolto in una semplice verifica parlamentare. Pur volendo ammettere la serietà delle posizioni dei finiani, è evidente che la netta presa di distanza sulle questioni etiche e legalitarie non ha impedito agli esponenti di Futuro e Libertà di rinnovare la fiducia a Berlusconi, perseverando in un errore riconosciuto apertamente dagli stessi. La coerenza dei finiani è venuta meno nel momento decisivo della fiducia concessa al governo.

Pertanto, risultano astruse e bizantine le giustificazioni di chi ha prima criticato duramente il premier e gli aspetti più discutibili della politica del governo, inducendo a credere che fosse nata una vera e credibile forza di opposizione interna al centro-destra, mentre ha semplicemente illuso l’opinione pubblica con un fuoco di paglia, in quanto alla prima importante verifica parlamentare le lacerazioni sono state ricucite.

D’altronde cosa ci si poteva attendere da un politico machiavellico ed opportunista come Fini, ex delfino di Giorgio Almirante (fondatore e leader del Movimento Sociale Italiano, erede del fascismo repubblichino), poi di Berlusconi, che negli anni ’90 sdoganò e traghettò i fascisti al governo, oggi Fini è diventato una sorta di animale anfibio.

Malgrado le atrocità e i misfatti del regime mussoliniano, gli odi generati dalla guerra civile, i contrasti e i veleni del dopoguerra, la repressione contro i movimenti sociali degli anni ’60 e ’70, quando lo squadrismo neofascista fu determinante, malgrado le porcate legislative varate dai post-fascisti al governo (cito solo le leggi che recano il nome del Presidente della Camera: la “Bossi-Fini” sull’immigrazione e la “Fini-Giovanardi” sul tema delle tossicodipendenze), i sentimenti antiberlusconiani ridestati in gran parte del cosiddetto “popolo di sinistra” oltrepassano i sentimenti antifascisti.

Negli ultimi mesi il quadro politico nazionale ha accusato un’escalation di dossier, polemiche, ricatti, scandali, fino alla reiterata minaccia di elezioni anticipate, lo scontro aperto tra finiani e berluscones, sguazzando tra la compravendita di deputati e l’incalzante squadrismo mediatico della stampa filo-berlusconiana, che hanno suscitato reazioni di sdegno. E’ evidente a tutti chi ha voluto scatenare una feroce campagna infamante contro il presidente della Camera, diventato un facile bersaglio per le sue esplicite divergenze con le posizioni del premier. Questo è un dato di fatto oggettivo.

Un tempo erano frequenti i contrasti tra i rivali interni alla Democrazia Cristiana, si pensi ai dissidi fra Andreotti e Fanfani, che si contendevano la leadership del partito e del governo azzuffandosi a colpi di ricatti e dossier predisposti da giornalisti prezzolati o dai servizi segreti deviati, ma la dialettica, pur aspra e spregiudicata, si sviluppava in modo sobrio e velato, ricorrendo ad un codice cifrato ed allusivo, mai troppo esplicito.

Il clima già acceso della bagarre politica si è ulteriormente acuito per alcuni episodi. In uno scenario di tensioni e contestazioni a leader sindacali e politici (si pensi a Bonanni e Schifani), in una commedia di finta dialettica parlamentare, segnata da aspetti surreali e grotteschi, “casualmente” si è offerto l’attentato (fallito) contro Belpietro, una vicenda che per certi versi rasenta la farsa. E’ noto che la storia si ripete sempre, la prima volta in tragedia, la seconda in farsa. E’ la storia della "strategia della tensione", la cui logica cinica e criminale si rivela nello slogan "destabilizzare per stabilizzare".

E' ormai accertato che la "strategia della tensione" costituisce un rimedio portentoso per un governo in crisi. Per riacquistare i consensi basta un semplice attentato fallito, la minaccia di una bomba, o l’ipotesi di un’escalation terroristica, l’importante è allestire una campagna mediatica che esageri ed insista nei toni allarmistici. Come accadde a favore della Dc, che intorno alla metà degli anni '70 era travolta dagli scandali ed era precipitata in una crisi irreversibile che avrebbe condotto al crollo, eppure il sequestro Moro riuscì a salvare il sistema di potere politico-affaristico imperniato sulla Dc.

Oggi la parabola del berlusconismo sembra essere sprofondata in una fase discendente con un’improvvisa accelerazione temporale, per cui solo una sorta di accanimento terapeutico potrebbe prolungare la sopravvivenza del governo nei prossimi mesi. Tuttavia, il potere di Berlusconi rischia di durare almeno fino a quando l’evanescente opposizione parlamentare insisterà sulle battute volgari e sulle bestemmie, sugli scandali e sulle abitudini sessuali del premier, invece di coniugare i sentimenti antiberlusconiani con l’antifascismo e l’anticapitalismo, per avanzare una critica radicale ed alternativa rispetto ad un modello di società, di Stato  e di democrazia di matrice autoritaria e populista, insomma ad un regime neoimperialista e neofascista.

 

Lucio Garofalo

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