Caro compagno Raffaele,
a malincuore e con grande sofferenza mi vedo costretto a ribadire e rendere irrevocabili le mie dimissioni da segretario politico della sezione di Paternopoli. Nei Democratici di Sinistra c'è la mia storia politica ed oserei dire la mia crescita culturale. Sono onorato di appartenere alla grande famiglia della sinistra italiana ed in particolare a quella irpina. Ho sempre nutrito nei tuoi confronti e nei confronti del compagno Michele una stima incondizionata e vi ho sempre visto come un punto di riferimento per il mio agire politico. Fino a sabato 5 marzo credevo che questi sentimenti fossero ricambiati, ma, con grande rammarico, devo registrare un comportamento da parte tua che mi ha fortemente mortificato e lasciato sconcertato ed interdetto davanti a tutti i compagni. Ho ereditato una sezione che viveva una empasse dopo la sconfitta delle amministrative, ho condotto una campagna di tesseramento che a detta di tutti ha avuto un grande successo, avendo avvicinato vecchi e nuovi compagni, ho contribuito con due delegati alla vittoria della mozione Mussi ed alla tua riconferma, in due mesi ho lavorato e gli organi di stampa me ne sono testimoni. Da soggetto responsabile sono divenuto il cancro da estirpare o come dici tu da "commissariare" concedendo il ruolo generale proprio a chi invece doveva essere stigmatizzato da te. A 41 anni secondo te ho bisogno di chi mi scrive la verifica? Ma l'accusa qual è? Lesa maestà? E nei confronti di chi? La verità caro Compagno Raffaele è che, cascasse il mondo, tu hai come riferimento a Paternopoli sempre gli stessi dirigenti che io comunque ho sempre sostenuto e difeso ma di cui non sono ne il pupazzo ne il ventriloquo. La condizione politica paternese esigeva quelle forti parole, che sono di tutti i compagni. Hai sbagliato caro Raffaele, dovevi porre in votazione il mio documento e non prestarti all'agguato di cui sono oggetto. Nell'inaugurarvi i migliori successi politici, promettendovi comunque lealtà e militanza, mi congedo da segretario. Né andava della mia dignità personale e della stima che mi sono conquistato nella società e nel partito a Paternopoli. Non ho altro da dirti, caro Raffaele.
In fede, Giuseppe Rabasca