La scuola pubblica è ormai privata dei beni più preziosi: risorse umane, intellettuali e finanziarie. I fondi economici sono reperibili, ma sono sottratti alle scuole statali e dirottati per sovvenzionare gli istituti privati, depauperando le strutture pubbliche. La scuola è un ambiente esanime, senza vita né cultura, un luogo alienante in cui il piacere della lettura, la passione per l’arte, l’amore per il sapere e il libero pensiero, per la convivenza e la partecipazione democratica, sono diritti negati. La scuola, sostiene qualcuno, sarebbe un covo di “fannulloni”, “pelandroni”, “assenteisti” e “disertori”.
La scuola è un’istituzione abbandonata a se stessa, in cui si recita una desolante commedia corale, un teatro permanente in cui si segue un tirocinio che prepara i giovani alla futura commedia sociale della vita piccolo-borghese di cui scriveva Sartre. Ma senza la scuola il destino dei giovani potrebbe essere anche peggiore. Si pensi al sistema statunitense, dove decenni di neoliberismo hanno scardinato ogni elementare diritto, compreso il diritto all’istruzione. Quella nordamericana è una società in cui le elite godono di un sistema scolastico e sanitario eccellente, mentre i ceti popolari sono costretti a mandare i figli nelle scuole pubbliche rottamate, a curarsi negli ospedali pubblici depauperati. A riguardo cito il film-documentario “Sicko” di Michael Moore sull’assistenza sanitaria negli Usa. E’ un modello miserabile e classista che il duo Tremonti/Gelmini vuole trapiantare nel nostro Paese: una scuola-parcheggio per “bulli”, dove i docenti sono al massimo addestratori degli studenti per aiutarli a superare i quiz a risposta multipla proposti alle valutazioni internazionali. Una scuola che è una sorta di supermercato dell’offerta non-formativa, non comunità educante e democratica. Una scuola che è la negazione della cultura e che produce solo saperi-merci “usa e getta”.
E’ dunque ora di congedare i vandali che hanno occupato il governo della nazione, sciupando le risorse migliori, i beni culturali, lo stato sociale, il patrimonio di civiltà e legalità democratica del nostro Paese. Costoro hanno scambiato lo Stato per un’impresa privata e l’hanno smembrato e oltraggiato. Più di tutti la Gelmini, un flagello della cultura, ha rovinato la Scuola Pubblica, un’istituzione che era il vanto della nazione, in particolare la scuola materna e la scuola elementare erano considerate tra le migliori realtà pedagogiche del mondo, persino da parte degli esperti nordamericani, tanto cari ai fautori della “riforma”. Evidentemente gli “ideologi” del centro-destra sanno bene che la Scuola svolge un ruolo eversivo in quanto forgia personalità libere e ribelli. E’ innegabile l’importanza della scuola nella formazione della mentalità, del carattere, delle attitudini e delle aspirazioni ideali delle persone, in particolare dei soggetti in età evolutiva. Credo che un rinnovamento sociale e politico passi anzitutto attraverso un rinnovamento culturale e morale, per cui è decisivo rilanciare la funzione della scuola.
Il principale problema della scuola italiana è costituito dal corpo docente, dalla svalutazione della professionalità degli insegnanti, dallo stato di insoddisfazione, demotivazione e avvilimento che li attanaglia. Occorre rivalutare in modo concreto la professionalità didattica. Il potere d’acquisto degli stipendi è crollato vertiginosamente, come è in caduta verticale il sistema scolastico che vede nei docenti il perno centrale da ricostruire con iniziative tese a stimolare ed accrescere la loro professionalità. Pertanto occorre rivalutare la posizione economica degli insegnanti italiani, che risultano i più sottopagati d’Europa. Solo così si potrà innescare un meccanismo virtuoso, attivando un processo di riqualificazione della scuola. Infatti, rendendo più appetibile la professione dell’insegnamento inevitabilmente si creeranno le condizioni che indurranno le persone più ambiziose e preparate ad aspirare ad un lavoro ben remunerato, più apprezzato e riconosciuto rispetto al presente. Il recupero del potere d’acquisto condurrà ad un incremento proporzionale del prestigio sociale e, di conseguenza, favorirà un crescente impegno e rendimento dei docenti. Naturalmente, a beneficiarne saranno anzitutto gli studenti. Questo è il circolo virtuoso che occorre innescare prima di ogni altra cosa per resuscitare la scuola. Di certo la Gelmini, come altri ministri che l’hanno preceduta, ha arrecato danni quasi irreparabili alla scuola pubblica, in particolare al ruolo dei docenti.
E’ ormai un’impresa ardua insegnare. Infatti, sono aumentati i fattori che ostacolano l’esercizio della professione docente. Ad esempio, il carico di lavoro burocratico è cresciuto a dismisura. Come pure prevalgono gli incarichi aggiuntivi “funzionali all’insegnamento”, in realtà funzionali ad un assetto che pare una caricatura del modello capitalista. Tali adempimenti sottraggono tempo utile all’insegnamento e al rapporto con gli allievi. Inoltre, gli insegnanti sono sempre più umiliati dalle angherie e dai soprusi, dalle intimidazioni e dai ricatti esercitati da dirigenti arroganti che scambiano la scuola per un’azienda e l’autonomia scolastica per una tirannia personale.
L’esperienza di lavoro nella scuola mi ha insegnato, attraverso circostanze negative, che non c’è più alcun margine, né spazio di agibilità democratica e sindacale, e tantomeno politica, nella vita dei cosiddetti “organi collegiali”. Come si è verificato in molte occasioni, persino le proposte da apprezzare in virtù di finalità favorevoli agli alunni, inevitabilmente finiscono per suscitare reazioni di sdegno e dissenso rispetto alle modalità impiegate, che non sono un aspetto marginale o formale, in quanto le procedure e le regole costituiscono la base su cui poggia un’autentica democrazia collegiale. Tale deficit di trasparenza democratica si avverte sia in fase di elaborazione progettuale, discussione ed approvazione, sia in fase di esecuzione pratica ed operativa.
Ad esempio, una circostanza spiacevole ed emblematica che ha coinvolto anche la scuola dove insegno, concerne le modalità decisionali adottate in merito ai cosiddetti “Corsi di recupero”. Premesso che tali interventi compensativi sono un’iniziativa valida e persino eccellente, essendo finalizzata al recupero degli alunni che nel corso dell’anno accusano lacune, ritardi o difficoltà sul piano del rendimento e dell’apprendimento, è anzitutto da obiettare che la proposta non sia supportata da un’ampia condivisione collegiale. Infatti, sono di imprescindibile necessità quelli che ad altri appaiono come oziose procedure da eliminare. Mi riferisco ai momenti di confronto e partecipazione collettiva che sono valori essenziali tanto, se non più del merito stesso di un’idea, per quanto nobile e impareggiabile possa essere. Le procedure democratiche del dibattito, della partecipazione e della ratifica collegiale non possono essere sminuite al livello di un arido formalismo burocratico, come accade in molte realtà scolastiche, dove i Collegi dei docenti sono esautorati di ogni potere di controllo e decisione, privati della libertà di discutere sulle questioni. In tali contesti le delibere non scaturiscono da un confronto sincero, né poggiano su basi di compartecipazione e corresponsabilità corale. Ormai è evidente che gli organi collegiali sono stati ridotti a luoghi privi di ogni libertà democratica, divenendo centri di mera ratifica formale delle decisioni assunte altrove.
Nella scuola odierna è possibile, oltre che necessario, rilanciare un metodo di gestione realmente corale e partecipativo. In questa prospettiva conta più il metodo che la finalità d’un progetto, in quanto è più importante il modo in cui si ottiene uno scopo, ovvero il come, anziché il cosa. Nel nostro caso, il metodo da recuperare si chiama “democrazia partecipativa”: è la democrazia dell’autonomia personale, il massimo possibile di democrazia in una società come la nostra e in una scuola come la nostra.
In tempi di trapasso come quelli che viviamo, la democrazia è un organismo fragile e precario, nella misura in cui le inquietudini derivanti dalla grave recessione economica mettono a repentaglio le libertà individuali. L’attuale situazione economica e politica nazionale ed internazionale evidenzia simili rischi: infatti, sono in serio pericolo i diritti e le libertà personali. In simili fasi di transizione storica, segnate da una profonda crisi sociale, economica e politica, l’unica democrazia possibile non è quella rappresentativa borghese, basata sulla rappresentanza liberale, ossia la democrazia della delega elettorale, su cui poggia il sistema politico-istituzionale vigente. Oggi l’unica democrazia davvero possibile e praticabile, è esattamente la democrazia a partecipazione diretta.
Nella scuola questa formula è incarnata dalla democrazia collegiale, l’unico esempio di democrazia davvero possibile. Non ci sono altre modalità organizzative. L’alternativa sarebbe l’assenza di una reale condivisione e trasparenza democratica, la deriva autoritaria verso il paternalismo e il dirigismo, la censura e la manipolazione delle idee e delle persone. Pertanto, occorre riscoprire un metodo di gestione politica basato sulla più ampia partecipazione e condivisione possibile, un metodo di organizzazione e direzione collegiale da mettere in pratica sin dalla fase di elaborazione iniziale di ogni iniziativa scolastica che investa l’istruzione e la formazione delle giovani generazioni.
A proposito di “progettifici scolastici”, anche quest'anno, in molte scuole d'Italia si è rinnovato il "miracolo" della moltiplicazione e della spartizione dei PON. Si è consumato l'ennesimo “mercato delle vacche”, senza offesa per le vacche. Con la differenza, non secondaria, che un mercato delle vacche denota maggior dignità e serietà, che invece mancano stando almeno alle oscenità a cui si assiste in un "progettificio scolastico". I "progettifici scolastici" sono deprecabili non per una presa di posizione ideologica e aprioristica, ma per ragioni pratiche maturate con l’esperienza diretta. Nulla impedirebbe di appoggiare il finanziamento di progetti di qualità, purché siano creati, discussi e realizzati seriamente, ma mi accorgo che i casi positivi sono eccezioni rare. I "progettifici scolastici" si caratterizzano negativamente anzitutto per un'assenza di creatività e trasparenza, per una non rispondenza ai bisogni formativi, sociali e culturali degli studenti, mentre obbediscono solo ad una logica affaristica. Per non parlare degli strappi alle regole, delle reiterate violazioni di norme e diritti sanciti dalla legge, delle innumerevoli e meschine scorrettezze commesse all'interno delle scuole.
Non a caso i "progettifici" sono definiti in tal modo proprio perché si configurano come "fabbriche di progetti che sacrificano la qualità, mentre premiano la quantità "industriale". In gran parte si tratta di progetti privi di valore culturale e di estro creativo, non rispondenti al contesto territoriale, in grave disaccordo con le istanze effettive degli alunni. In molti casi si tratta di "progetti-fantasma", esistenti solo sulla carta, la cui attuazione non è soggetta ad alcun sistema di controllo. Gli stessi strumenti di monitoraggio sono inefficaci o inesistenti, ovvero esistenti solo sulla carta.
Sono sempre più numerose le scuole italiane che tendono a configurarsi come "progettifici" senza valore, per la semplice ragione che la produzione di progetti su scala industriale conviene economicamente ai dirigenti scolastici e ai colleghi più venali. I quali, non a caso, puntano sui "progettifici" e non sulla qualità, perseguendo esclusivamente la "produttività economica", ovvero il facile guadagno. In particolare, anche quest'anno nella scuola dove lavoro i progetti (mi riferisco non solo ai PON, ma anche ad altre tipologie di progettazione) hanno conosciuto una proliferazione a dir poco impressionante, si sono moltiplicati a dismisura, sono stati riciclati e riesumati in modo "prodigioso", mutando natura e caratteristiche, veste, tipologia e denominazione, persino il nome del docente referente. Perciò, sono sempre più nauseato e indignato .
Lucio Garofalo