Paternopoli/Verso il Partito Democratico
Paternopoli e la lunga notte di Pontecagnano
di Mario Sandoli*
Da Paternopoli, imbocco in macchina, insieme a comuni amici, la strada Ofantina. Si va da Paternopoli verso Pontecagnano. E prima bisogna arrivare ad Avellino per immettersi, poi, sulla Salerno-Reggio Calabria. La serata è fredda. A scaldarci c'è l'animata discussione su quanto De Mita dirà a Pontecagnano. Siamo già a Salerno. Comincia a piovere. Una pioggia che a Pontecagnano, diventa battente. Sono ormai, insieme a tanti altri in piazza; diluvia e non ce n'accorgiamo. Da lontano, intorno alle 22.00 un corteo umano si muove: accompagnano il Presidente De Mita verso il palco. Una forte emozione prende tutti. Si sta vivendo una pagina di Storia. Molto onestamente, la storia di tutta l'Irpinia. E perché no, anche dell'Italia, di quell'Italia che con De Mita guardava, già tanto tempo fa, in "avanti". Pontecagnano, è stata una gran lezione per tutti. Il Presidente De Mita ha invitato a riflettere sulla "novità" del nuovo partito, evidenziando paure, ansie e speranze che accompagnano la sua nascita. Ha difeso "il popolarismo", per ricordare la propria storia, la nostra storia, la nostra comune identità. Identità difesa strenuamente, ma anche capacità e grand'analisi per il nuovo cammino da intraprendere privilegiando le cose da fare nell'immediato.
Una lezione che non ha risparmiato un'analisi lucida sulla sua futura collocazione. "Candiderò le mie idee" ha riconfermato, gridandolo a voce alta e per nulla impegnato a difendere una sua eventuale candidatura alla guida regionale del PD. Quello che adesso accadrà è, poi, sola Storia. Ma non sarà, comunque, la fine di una Storia. E' notte fonda e c'è da rientrare. Non guido. E allora mi piace pensare, riflettere. E vado alla mia Paternopoli. Anche da noi questa "nuova avventura", la costruzione del Partito democratico, la stiamo vivendo in modo conflittuale. Da una parte prevale la speranza e l'ansia per il "nuovo"; dall'altra parte, benchè ancora indefinita, il fondamentalismo, la rigidità pseudo-culturale che sciorina parole al vento ed è animata solo da rancore. Provo a ripensare alla mia scelta, ai miei piccoli interventi. Non ho niente da rimproverarmi: io ho solo posto ragionevolmente dei problemi. Ho avanzato delle questioni. Mai una risposta. Se non per offendere. Mai un'analisi lucida sulla gran questione che il Partito Democratico poneva. Mi si è sempre risposto, abile, scolastico e dotto il suggeritore -perché adesso ha un volto-, in modo metaforico dovendo faticare non poco a leggere tra le righe dove si vuole colpire, quale altra ferita ha da riaprire. Io, pur potendo raccontare ad alta voce, ed un giorno lo farò, con la schiena dritta e sentenze alla mano la mia storia, non scenderò sul loro stesso piano pur potendo attingere a probante documentazione che "canta". Non è questa la politica "nuova". Io non lo farò. Io difenderò con la coerenza di sempre la mia identità, per nulla impaurito di essere corretto ma tenace, duro, inflessibile ed orgoglioso avversario di chi pensa di "recitare" il nuovo senza guardare avanti, ma immaginando una politica che non c'è. Ma più in generale, magari anche ripetendomi, io mi chiedo: quando finirà questa storia e questo modo di procedere? Quando Paternopoli, potrà rivivere e rialzare la testa? Qui, da noi non ci sono segnali di cambiamento. I fori dei chiodi sulla carne sono ben visibili. Eppure c'è di nuovo una "speranza" che prova a rinascere, a farsi prepotentemente avanti. Io, caparbio sognatore, cerco di trovare i segni, qui a Paternopoli, della speranza. Io voglio essere testimone di piccoli segni di speranza. Lavorando per una politica nuova; immaginando per le nostre giovani generazioni solo riscatto da un'azione polico-amministartiva stanca che non li ha mai guardati in faccia. E nonostante questo tutti noi dobbiamo inseguire la speranza. Il gesto politico, sia inteso come confronto e nient'altro. Come una sana dialettica che fa prevalere le ragioni del coraggio e dell'identità. Quale può essere, allora, il gesto per eccellenza? Il silenzio quando la prudenza lo consiglia, il dialogo, quando l'orizzonte della "svolta" è vicino. La guerra mai. Lascia sul campo solo miserie, ferite, dall'una e dall'altra parte Mai abbandonarsi, poi, allo scoramento perché è possibile che lo scoramento chiude alla speranza perché può immaginarsi che la speranza non chiude da sola le ferite. E allora quali Vie dolorose restano nella Paternopoli d'oggi? Le ferite, ci sono. Restano aperte e per sanarle ci vorrà del tempo. Le Vie dolorose sono ancora tante. Penso soprattutto alle incomprensioni, al lavoro che non c'è, al disagio giovanile, alle tante invocazioni inascoltate d'aiuto: credo che queste siano la principale Via Dolorosa qui a Paternopoli. E allora immaginiamoci tutti come "infermi" ma ostinati a salire i gradini stretti e ripidi del "Calvario". Un'immagine scelta non a caso, questa, che descrive molto bene i volti della sofferenza di tutti noi qui a Paternopoli. Da un lato c'è la vicenda umana che ci costringe ogni giorno a sperimentare il "limite". Dall'altro c'è la nostra forza interiore che riesce a superare ogni ostacolo, ad andare oltre. Io la mia piccola parte la farò, continuando a rispettare quanti, per le più svariate ragioni, immaginano una storia ed un percorso diverso per il "nuovo" che si sta costruendo e non sottraendomi mai, dico mai e per nulla intimorito, alla mia convinta e decisa avversione al "presunto nuovo" che spira da "Oriente" e da "Occidente"; contrasterò, con quanto mi è consentito anche per legge fare, qualsiasi tentativo, che è un po' il piacevole esercizio di tutti noi, di "guardare l'inesistente a volte pagliuzza negli occhi degli altri, senza guardare la quasi certa trave che è nei propri occhi" e chiedendo, infine, ai vertici Provinciali della Margherita di candidarmi, quale che sia la posizione che ritengono opportuna, alle primarie del 14 ottobre per la ormai non più procrastinabile "giornata della verità".
*architetto e giornalista