Dulcis in fundo!
L'atto conclusivo del "meraviglioso" e "ineffabile" governo Berlusconi è un disegno di legge sulle droghe (inserito in modo subdolo come mini-emendamento in un maxi-emendamento per le Olimpiadi invernali di Torino) che reca, non a caso, il nome e la paternità di Gianfranco Fini, ossia di un fascista, post o vetero non importa in quanto la forma mentis è sempre la stessa.
Ecco, dunque, il capolavoro dei capolavori di questo infame governo, che ha intrapreso la sua opera devastatrice, anticostituzionale e antidemocratica con la feroce repressione del movimento no-global attuata durante le giornate del G8 di Genova, nel Luglio 2001, e con un obbrobrioso provvedimento legislativo che ha eliminato la tassa sulle successioni e sulle donazioni che superano i 200 mila di euro! Cito solo alcuni degli atti più emblematici e significativi per rinfrescarci la memoria sulla natura classista e reazionaria di tale governo.
L'intento dichiarato del decreto Fini è quello di colpevolizzare e perseguitare i tossicomani, anche i semplici consumatori di spinelli, giudicati alla stessa stregua degli spacciatori e dei narcotrafficanti, annullando cioè la "liceità" del consumo personale finora tollerato.
Come argomentano i fautori della legge, la gravità dell'attuale situazione sarebbe determinata dal "permissivismo" contenuto nel concetto di "modica quantità", un'idea ispirata e alimentata dall'ascesa, soprattutto negli anni '60 e ‘70, della cosiddetta "cultura della droga" intimamente sposata alle varie "culture alternative" o "controculture" affermatesi in quel periodo.
In effetti, questo è il ragionamento, rozzo e semplicistico, che fonda lo spirito della legge Fini.
Invece, è un dato incontestabile che la causa dei crimini abitualmente perpetrati nelle aree urbane più degradate, ad esempio i reati commessi dai giovani tossicomani, sia proprio nell'esatto contrario del permissivismo, ossia in quel regime proibizionista che di fatto regola e decide la questione. Un regime che la legge Fini renderebbe ancora più aspro e crudele, criminalizzando e perseguendo non solo le abitudini di milioni di consumatori di droghe leggere, ma penalizzando anche altri comportamenti, fino a negare e calpestare alcuni elementari diritti sanciti e garantiti dalla nostra Costituzione.
Le misure draconiane previste dalla suddetta legge mirano a reprimere il diritto a "farsi", ma non ne eliminano le cause reali, nella misura in cui le ragioni dell'alienazione giovanile nelle droghe sono di natura esistenziale, psicologica e culturale, non certo di ordine giuridico.
Inoltre, quelle norme brutalmente punitive investirebbero soltanto i piccoli spacciatori, ossia gli stessi abituali consumatori di sostanze narcotiche.
Tale disegno politico cela una perversa volontà di esasperare il fenomeno della violenza urbana, specialmente di quella minorile, ma soprattutto arreca un vantaggio economico e politico incommensurabile alle più potenti organizzazioni malavitose (mafia, camorra, ecc.) che controllano il mercato nero delle sostanze stupefacenti, in modo particolare delle droghe pesanti, favorendo e incrementando il potere e i profitti dei narcotrafficanti internazionali.
L'esperienza storica ha dimostrato che l'imbarbarimento di una già ferrea disciplina repressiva non fa altro che scatenare l'effetto contrario, generando fenomeni di recrudescenza e l'aumento del disordine, della rabbia, della disperazione.
Tale legge costituisce un ulteriore segnale che attesta l'involuzione in senso autoritario e reazionario di una notevole parte della classe dirigente italiana, a cui non corrisponde un pari fenomeno regressivo nella società civile, che in tal modo si discosta sempre più dagli ambienti, dagli umori e dai poteri istituzionali del Palazzo.
Lucio Garofalo