Non è lontano il tempo in cui i giovani erano accusati di essere frivoli e disimpegnati politicamente. Ora che iniziano a mobilitarsi e a battersi per i propri diritti e per ottenere un futuro dignitoso, sono temuti e stigmatizzati addirittura quali“terroristi” e “potenziali assassini”. Come si fa a giustificare una simile discordanza di valutazioni?
E’ evidente il disorientamento e l’incapacità di cogliere la reale natura di un fenomeno che in molti temevano, una sollevazione generazionale che finora ha raggiunto il suo culmine nelle agitazioni e nei tumulti di massa del 14 dicembre, lo spauracchio di una rivolta sociale contro la dannazione del precariato che incombe sull’avvenire dei giovani. E come si può biasimare chi tenta di rigettare la condanna ad un simile destino?
Le iniziative studentesche suscitano alcune riflessioni, utili in una prospettiva di espansione e di maturazione del movimento nell’anno appena iniziato. Sgombriamo subito il campo dagli stereotipi che tentano di ridurre in modo semplicistico e superficiale la rabbia giovanile esplosa in forma spontanea, come è accaduto in Grecia, in Inghilterra e nel resto d’Europa. Tali mistificazioni sono diffuse ad arte dalla stampa di regime che non ha perso l’occasione per scatenare una furibonda canea sulla presunta identità tra studenti e violenza, formulando l’equazione: manifestanti = terroristi.
Le proteste di piazza hanno lanciato un segnale di vera opposizione sociale e di massa rispetto alla crisi e alle politiche antipopolari e ciò è senza dubbio positivo. In questa fase occorre sostenere la ribellione di questa generazione e respingere con fermezza le campagne repressive e i tentativi di criminalizzazione contro un movimento che ha deciso di sfidare il palazzo di un potere corrotto e delegittimato, capace solo di inciuci e totalmente incapace di programmare un futuro dignitoso per i lavoratori, i giovani e le donne di questo paese. Nel contempo è illusorio credere che con queste manifestazioni siano stati rovesciati i rapporti di forza, né che sia stata battuta l’egemonia reazionaria che fa leva sulle paure generate dalla crisi, fomentando incessanti guerre tra miserabili.
Le mobilitazioni di massa hanno provato che le vertenze operaie contro i licenziamenti, le ristrutturazioni e le chiusure aziendali e per la difesa dei salari, si possono e si devono fondere con le lotte studentesche per la tutela dell’istruzione pubblica e dell’università, per la conservazione dei territori contro i saccheggi e le devastazioni ambientali, per il mantenimento della sanità pubblica, per il diritto ad una casa e ad un lavoro per tutti.
Una battaglia per la salvaguardia dei diritti e dei salari, per il mantenimento della scuola e della sanità pubblica, per la tutela del territorio, potrebbe apparire una posizione puramente difensiva e di retroguardia, di stampo conservatore. E in un certo senso lo è.
A tale proposito richiamo quanto sosteneva Pasolini, con intuito profetico, oltre 35 anni fa, cioè che in una società capitalistica e consumistica di massa che promuove “rivoluzioni di destra”, i veri rivoluzionari sono i “conservatori”. In effetti, le rivoluzioni in atto nella società contemporanea sono di natura regressiva e liberticida, sono mutamenti violenti e radicali prodotti dalla globalizzazione economica neoliberista, in ultima analisi sono (adoperando un ossimoro) “rivoluzioni conservatrici”, in quanto funzionali ad un disegno di stabilizzazione neoconservatrice dell’ordine sociale vigente.
Dunque, coloro che si impegnano per arginare la pericolosa deriva autoritaria e antidemocratica causata dalle forze del neoliberismo oligarchico e finanziario, per contrastare le offensive capitalistiche contro i diritti e le conquiste dei lavoratori, per resistere agli assalti eversivi della destra più oltranzista e reazionaria, coloro che si battono per salvaguardare le condizioni residuali di legalità democratica e civile, le tutele sociali e costituzionali, sono oggi i veri conservatori, sono cioè i veri rivoluzionari.
Per chiarire il concetto suggerisco di pensare al sedicente “rivoluzionario” Marchionne, il supermanager della Fiat. Costui, per avallare le proprie tesi eversive, si appella alla nozione di“progresso”, di cui sarebbe un convinto fautore, mentre la Fiom, tanto per citare un esempio, rappresenterebbe un’organizzazione sindacale “retrograda” e “conservatrice”. Pertanto, se il signor Marchionne è un “artefice del progresso”, il sottoscritto ammette di essere un “conservatore”, se non addirittura un “misoneista”.
In questo ragionamento è presumibile che gli studenti mobilitati per la difesa della scuola pubblica, malgrado i limiti e le inefficienze del sistema, siano attestati su posizioni di “conservazione”, dunque siano i veri rivoluzionari dell’attuale situazione.
Ebbene, l’ennesimo tentativo dei mezzi di informazione per distogliere l’opinione pubblica dai nodi critici ed essenziali della protesta, insistendo sul carattere violento o meno delle manifestazioni, è la riprova dell’ottusa volontà del palazzo di ignorare le giuste rivendicazioni sollevate dalla piazza per arroccarsi in un atteggiamento di ostinata chiusura autoreferenziale e in un teatrino di marionette a cui ormai è ridotta la politica.
I partiti e i sindacati della sinistra tradizionale non rappresentano più gli interessi reali dei lavoratori e contribuiscono alla farsa attribuendo le responsabilità della catastrofe alla cattiva gestione del governo, illudendo le masse con la promessa di una “nuova politica”. I movimenti esprimono un bisogno di protagonismo e di autorganizzazione dei soggetti sociali che non si sentono più rappresentati dalla politica ufficiale del palazzo.
E’ giusto precisare che non esistono solo le lotte e le istanze rappresentate dal movimento studentesco, ma pure le vertenze e le questioni sociali espresse dagli operai, dai migranti, dai precari delle fabbriche, delle scuole e degli altri luoghi dello sfruttamento capitalistico. Non si tratta solo di un movimento studentesco in quanto le mobilitazioni coinvolgono diversi soggetti sociali: studenti, ricercatori, operai e migranti, uniti da un denominatore comune che è la precarietà economica e sociale. Le nuove agitazioni sociali parlano lo stesso linguaggio, quello della precarietà ontologica.
Mentre l’opposizione parlamentare è paralizzata, le masse proletarizzate prendono coscienza del loro destino e si sa che “i popoli non vogliono suicidarsi”. Alla recessione internazionale ovunque si sta reagendo con forme spontanee di protesta e di resistenza, in cui riacquista vigore l’idea dell’unità delle lotte. Fino a ieri le vertenze erano isolate, disperse e atomizzate. Di fronte alla gravità della situazione economica la convergenza delle lotte in un unico movimento, non solo nazionale ma internazionale, diventa vitale.
E’ possibile organizzare una opposizione corale di massa, formata da voci plurali e diverse, unificate nel tentativo di salvaguardare il futuro e la dignità dei lavoratori, contro le politiche concertate da Governo, MaFiat e Confindustria, che mirano a riaffermare il primato del profitto individuale a discapito dell’interesse generale.
Lucio Garofalo