Il nostro è un popolo di grafomani narcisisti. E' noto che in Italia ci sono più scrittori che lettori. Comunque, al di là dei limiti e dei difetti oggettivi ed evidenti, ovvero delle capacità e dei talenti individuali posseduti da ciascuno, non vedo perché inibire o castrare l'ansia creativa e il desiderio comunicativo che sfociano facilmente nel ricorso massiccio e frequente alla parola scritta, come potrebbero avvalersi anche di altri mezzi e tecniche espressive. Del resto il "fenomeno" si manifesta, magari ridotto nelle sue dimensioni, pure in altri ambiti creativi quali, ad esempio, le arti figurative, la musica, la fotografia, il teatro, ecc. Quanti di noi si cimentano, o si sono cimentati in questi campi almeno una volta nella propria vita, senza ottenere alcun successo?
Si pensi solo alle recite teatrali allestite a scuola, alle attività manipolative, grafiche e pittoriche eseguite sin da bambini, alle esperienze artistiche vissute per puro diletto, alle esibizioni di creatività non verbale e alle manifestazioni estemporanee che ci hanno visti protagonisti, magari involontari, in qualche momento della nostra esistenza, e non mi riferisco solo al lungo periodo degli studi scolastici.
Il vero problema è un altro, ossia il rapporto tra creatività ed economia di mercato. E' capitato anche al sottoscritto di confrontarsi con i propri limiti, ma soprattutto con le contraddizioni insite nel sistema. Mi spiego meglio, sperando di non annoiare il lettore.
Spesso e volentieri, da quando scrivo per diletto e passione, i miei genitori, gli amici, persino qualche collega di lavoro, insomma in tanti mi hanno rimproverato di avere un "talento sprecato", cioè di aver dissipato le mie qualità e potenzialità espressive. Ed è probabile che non abbiano torto. Tuttavia, mi piacerebbe sapere cosa significhi "sprecare" un talento. Per caso s'intende non saper sfruttare il proprio talento, se davvero si possiede un talento, per fare soldi e raggiungere il successo, per diventare famoso e cose del genere? Ma da quando, chi sa scrivere, riesce ad arricchirsi in un mondo gretto e mercificato come il nostro?
So bene che in un'economia di mercato i soldi si accumulano vendendo merci e che in un'economia capitalistica i soldi si fanno con i soldi ... degli altri! Ebbene, se un talento viene mercificato, nel senso che viene trasformato in merce, e come tale esposto in vendita sul mercato, allora è probabile che ci siano discrete possibilità di guadagnare qualcosa, ma in realtà solo le briciole sono destinate allo scrittore, a meno che non si tratti di Umberto Eco o pochi altri. Invece, gli utili più consistenti vanno nelle tasche degli editori, cioè i padroni della cultura, precisamente dell'industria culturale.
Infatti, nell'odierna società mercantile e consumista di massa, la cultura, l'arte, la poesia, la letteratura, sono merci da far circolare, vendere, comprare, fanno parte dell'industria culturale e dello spettacolo, finiscono talvolta esposte in una vetrina televisiva, al Costanzo Show o altri salotti mediatici.
In un contesto di mercato i valori e i talenti più autentici in campo artistico e spirituale, sono misconosciuti e mortificati, la qualità viene sacrificata e svilita per favorire altre doti e peculiarità di ordine economico quantitativo, che sono le caratteristiche tipiche della produzione commerciale, come un manufatto che ha la proprietà di essere venduto più facilmente, che gode del gradimento del pubblico e dunque può essere fabbricato su scala industriale. Il sistema tende ad esaltare e premiare non i veri talenti e le opere di gran pregio, bensì seleziona e promuove altri prodotti culturali, che assecondino le esigenze del mercato, gli interessi materiali e affaristici che nulla hanno a che spartire con la vera arte, con l'ingegno, lo studio e l'estro creativo, con la preparazione culturale, con l'impegno serio e rigoroso, con la maestria e la bravura dell'artista.
Personalmente sono convinto che se per ipotesi, nemmeno tanto assurda, nascesse un nuovo Dante Alighieri, un nuovo Boccaccio, un nuovo Leopardi, un nuovo Pasolini, oppure un nuovo Leonardo da Vinci o un nuovo Michelangelo, insomma un nuovo immenso genio dell'arte, della narrativa, della poesia, probabilmente si farebbe già fatica a scoprirlo e "lanciarlo" sul mercato, e nel caso si arrivasse a pubblicarne le opere, credo che queste non riuscirebbero a riscuotere il successo che meriterebbero, mentre si continuerebbe a concedere spazio e a privilegiare le solite "Barzellette di Francesco Totti" e simili baggianate vendute a iosa.
Insomma, nel nostro tempo non c'è spazio per il mecenatismo a beneficio dell'ingegno e dello spirito umano. Almeno nell'attuale società capitalista non si svilupperà mai un nuovo Rinascimento artistico e culturale pari a quello che rese splendido il periodo tra la metà del 1400 e la metà del 1500, in quanto non godrebbe dei favori degli sponsor finanziari degli editori, dei produttori, dei manager e dei padroni dell'industria della cultura. Su questo non c'è alcun dubbio.
Lucio Garofalo