Un tentativo di analisi del voto di giugno

Le cause dell'ennesima disfatta elettorale subita dalle sedicenti forze della "sinistra radicale" (oltre che del "centro-sinistro") non sono inquadrabili solo nell'ambito del fenomeno dell'astensionismo che, molto più di altre occasioni, ha fatto registrare un elemento cosciente e volontario e dimensioni di massa finora sconosciute in quest'area.
Al di là della tendenza senza dubbio negativa in atto da anni su scala europea, o delle molteplici e complesse ragioni legate solo in parte alla grave recessione economica internazionale, esiste un problema storico di fondo riconducibile alla crisi e al declino inarrestabile dell'egemonia culturale (un tempo assai diffusa) da parte della sinistra, in particolare di quella comunista, presso vasti settori della società italiana, compresi quegli strati del proletariato di fabbrica che formavano il perno centrale su cui si reggeva il blocco sociale schierato a sinistra e che in ogni caso si sentiva rappresentato e garantito dalle forze tradizionali della sinistra (non mi riferisco soltanto al PCI).


Tale egemonia culturale, ossia l'influenza e il carisma intellettuali che nel secondo dopoguerra furono conquistati grazie all'impegno, all'opera e al talento di grandi intellettuali (filosofi, giornalisti, scrittori, poeti, artisti, attori, registi), dirigenti e militanti comunisti, costituivano un prezioso patrimonio che è stato dissipato in pochi anni, per cui quell'egemonia è stata persa in modo dissennato dall'odierna "sinistra" ed è passata in altre mani dal momento in cui i gruppi dirigenti delle formazioni provenienti dall'area ideologica che ruotava intorno al PCI hanno rinunciato al proprio ruolo di rappresentanza e di tutela, abdicando a favore  della destra più reazionaria e populista.
Oggi, quel senso di rappresentanza, di vicinanza e di protezione che un tempo la sinistra riusciva comunque ad infondere nel suo elettorato storico, non esiste più, è scemato o svanito del tutto, comunque versa in uno stato di profonda crisi, per cui tale vuoto sfocia in forme inevitabili di protesta e di insoddisfazione che si canalizzano e si manifestano attraverso l'astensionismo o addirittura il voto a favore della Lega Nord o altre forze collocate a destra. Come spiegare altrimenti lo spostamento oggettivo di una parte notevole del voto operaio nell'Italia centro-settentrionale a beneficio di un partito palesemente razzista e xenofobo come la Lega Nord, che è senza dubbio molto radicato e presente sul territorio, come un tempo era capace di essere soltanto il PCI?
Per quanto concerne il PD, soggetti quali il signor Franceschini o altri non possono certo qualificarsi come esponenti di "sinistra", ma sono solo una sfumatura più "soffice" e "rosea" rispetto alla destra. In effetti si tratta di personaggi più ipocriti e subdoli, ciarlatani, impostori e mistificatori, persino peggiori di vari elementi apertamente fascisti e postfascisti (o cripto fascisti) che frequentano il PDL e dintorni. In tal senso il PD appare come una semplice scoloritura ideologico-politica del PDL, il partito di plastica creato dal sultano di Arcore. D'altro canto, anche la sigla dei due partiti politici è in pratica la stessa: basta depennare una "L" e il gioco è fatto.
Dunque, la presunta "sinistra" o, per meglio dire, ciò che resta del "centro-sinistra" prodiano che ha governato molto male il paese, deludendo le enormi attese e speranze suscitate in quella parte di popolo che l'aveva sostenuto alle elezioni del 2006, fallendo poi tragicamente, non è più credibile quando si propone come alternativo rispetto allo strapotere della destra più aggressiva e antidemocratica presente in Europa, una destra arrogante e spregiudicata, demagogica e populista, rozza e oscurantista, isterica e umorale, xenofoba e razzista, insomma la destra più pericolosa degli ultimi 50 anni.


Lucio Garofalo

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